Certi libri accompagnano i propri lettori come una fatalità, una maledizione del tempo, una indiscrezione del fato. Poiché alludono ai propri possessori un destino già scritto che però non hanno avuto ancora la fortuna di leggere o di intravedere. Tra le loro pagine esita la loro fine e il loro passato. La storia è piena di esempi di questi libri maledetti. Il cancelliere austriaco Dolfüss, ad esempio, nei suoi ultimi giorni di vita era perseguitato dalla volontà di iniziare la Tecnica del colpo di Stato di Curzio Malaparte, per cercare dei rimedi contro la paura di essere rovesciato dai sicari di Hitler, desiderosi di annettere la piccola Austria confinante. Nell’ultimo giorno della sua vita riuscì ad iniziarlo ma purtroppo per lui era troppo tardi poiché i catilinari che aveva iniziato a studiare tra le pagine del gran toscano, lo avevano raggiunto, prima di dargli il tempo di terminare quella lettura, pronti a ricordargli la natura oscura e violenta che accompagna il potere e la lotta per esso. Un destino simile accompagnò Aldo Moro, che nei suoi ultimi giorni di libertà, in una Roma frenetica e spietata, cercava incessantemente una copia di un altro libro fatale, per comprendere la natura più profonda dei suoi futuri aguzzini che sperava di poter comprendere tra le pagine di un testo che cercò senza risultato fino ai suoi ultimi giorni: I demoni di Fedor Dostoevskij. Ma le ombre nichiliste e algide di Stavrogin e degli altri demoni usciranno dalle pagine del maestro russo prima che il Presidente della DC riesca ad iniziare la lettura di questo testo, inseguendolo fino a via Fani dove il 16 marzo del 1978 verrà rapito da una cellula delle Brigate Rosse dando inizio alle vicende dell’Affaire Moro, recentemente tornate alla ribalta grazie alla serie di Marco Bellocchio, Effetto notte. A distanza di oltre quarant’anni di Moro sopravvive il ricordo dello statista prigioniero con le icone insanguinate delle BR sullo sfondo e la prima pagina di Repubblica come prova della sua sopravvivenza, ma di Moro si ricorda ben poco. Non si parla del professore, del leader di partito, del conservatore illuminato, dell’intellettuale bizantino delle convergenze parallele, del “corruttore” del Pci, di tutti quei volti che sono ormai stati coperti dalla maschera del martire del terrorismo. Per riscoprire chi fu realmente Aldo Moro abbiamo intervistato Giorgio Balzoni, ex vicedirettore del Tg1, intellettuale, giornalista, e studente di Moro, che ha dedicato al politico pugliese due libri da poco ripubblicati per Lastaria.
-Si è da poco conclusa la mini serie di Marco Bellocchio Esterno notte. Che giudizio trae del ritratto di Aldo Moro e dei cinquantacinque giorni del sequestro che il regista ha realizzato?
Prima di rispondere è necessario fare delle considerazioni preliminari. Innanzitutto bisogna sempre considerare che Esterno Notte è una serie televisiva che appartiene al genere della “fiction”, quindi è un’opera d’arte e non un documentario politico o una inchiesta sulla figura di Moro. Per tale motivazione ritengo giusta la rivendicazione di libertà artistica di Marco Bellocchio nel realizzare questa serie che non si presenta come un documento giornalistico, ma come un prodotto squisitamente cinematografico aperto alle scelte espressive dell’autore. Come secondo dato mi sento di sottolineare che abbiamo osservato un immenso Fabrizio Gifuni nel ruolo di Aldo Moro che ha rappresentato lo statista democristiano in una maniera eccellente. Nella serie si sente poi un’attenzione e una cura del dettaglio storico che fanno sentire la mano di un grande esperto di quell’epoca come Miguel Gotor, una dei massimi esperti del caso Moro. Fatte queste considerazioni però devo ammettere che il prodotto rischia di trasmettere e fare emergere una idea sbagliata di chi fu veramente Aldo Moro. Ci sono fatti verissimi, ad esempio la sua difficoltà con la famiglia, la presenza dell’ingegner Borghi a via Gradoli, che altro non era se non Mario Moretti, ma ci sono poi degli errori e delle inesattezze come ad esempio l’età del nipote più piccolo, Luca, il quale all’epoca aveva un anno e mezzo a differenza di quanto viene riportato nello schermo. Moro, al contrario della fiction, non fumava. Inoltre vi è da esporre un’ulteriore differenza con la realtà storica in quanto egli certamente disistimava molti uomini della DC, ma rimango interdetto nel pensare che possa addirittura aver stroncato ed odiato membri e colleghi del suo partito. È assolutamente falso, poi, quando il personaggio di Moro dice di voler lasciare la politica, mentre invece lui aveva intenzione di abbandonare soltanto la Democrazia Cristiana, come scrive nel Memoriale.
-Secondo lei se Moro fosse stato liberato come ipotizza in parte un episodio della serie, come avrebbe continuato la sua esperienza politica?
Questa è una domanda difficilissima, perché non possiamo immaginare cosa sarebbe stato per il Paese un ritorno di Moro dopo la prigionia, anche perché qui entrano in gioco una serie di variabili storiche che rendono complesso un giudizio finale. Certamente possiamo dire che non sarebbe stato eletto Presidente della Repubblica, carica che mesi prima del sequestro era già prevista per lui. Sono sicuro però che non avrebbe abbandonato la politica, come scrivo nel mio ultimo libro Aldo Moro e le brigate rosse in parlamento, poiché la mia personale certezza è che Moro da molti anni stava cercando di aprire un dialogo con le Brigate Rosse, come aveva fatto con i socialisti prima e con i comunisti poi, per superare la stagione del terrorismo e della lotta armata, anticipando ancora una volta i tempi poiché quella strategia di confronto e dialogo col terrorismo ideata e teorizzata dallo statista DC divenne successivamente la bussola per molti Paesi europei per affrontare minacce di matrice terroristiche, come l’Inghilterra con l’Ira e la Spagna con l’Eta. Moro, infatti, voleva aprire una trattativa con le Brigate Rosse per portarle fuori dalla lotta armata e introdurle all’interno di una dialettica democratica con l’intenzione di risollevare il Paese, conducendolo fuori dal terrorismo. Non so con quale partito e con quali alleati, ma sono sicuro che sarebbe stato il destino della sua azione politica e che ci sarebbe riuscito.
-Nel libro riporta una frase pronunciata dal capo della scorta Leonardi dice che: “Moro voleva portare le Brigate Rosse in parlamento”. Può spiegarsi meglio?
La frase di Leonardi che cito in apertura del mio libro è certamente provocatoria. Leonardi infatti cercava di spiegarci che Moro era intenzionato a trovare una strada per concludere la stagione del terrorismo in Italia. Ci disse allora che l’idea era quella di portare le BR su un tavolo istituzionale e fu allora che Leonardi ci disse: “Sai che si è messo in testa il capo? Vuole portare le Brigate Rosse in parlamento”. Io allora scherzosamente gli risposi: “Con i mitra o senza?” e lui tornando serio: “Tu sai bene che il capo guarda sempre con grande anticipo alle cose”. Come ho spiegato nel libro quello era l’approccio che avrebbe voluto conseguire Moro e invece fu adottato solo successivamente, con successo, da governi stranieri, dimostrando la sua visionarietà anche in questo caso.
-Bizantino, professore, uomo di governo. Quale è il vero volto di Aldo Moro?
È stato soprattutto un uomo delle istituzioni che lesse le mutazioni e i cambiamenti dell’Italia e dei Paesi occidentali, con anni di anticipo. Egli, conscio di questa lettura, voleva guidare il cambiamento e non esserne travolto. Un indagatore della realtà che cercò di veicolare i grandi cambiamenti che era stato capace di anticipare verso obiettivi comuni. Per tale attitudine contesto a tutta la vulgata su Moro, l’immagine di un mediatore, di un uomo di compromesso e dai tiepidi giudizi, poiché Moro non fu affatto un conciliatore, ma un decisionista. Un politico moderato e pacato ma allo stesso tempo deciso e netto nelle sue scelte e nei suoi disegni politici.
-Come valuta la proposta di riaprire il caso Moro attraverso una nuova commissione d’inchiesta? Quanto c’è ancora da scoprire sui fatti di via Fani?
Di inchieste sul caso Moro ne sono state fatte moltissime ed ognuna di esse ha sempre ampliato le informazioni e la conoscenza delle dinamiche che si nascondono dietro questo caso, quindi ogni nuova attività di approfondimento e di ricerca della “verità”, semmai si dovesse trovare completamente sul caso Moro, è ben accetta. Credo però che più che riscoprire e approfondire il Moro dei 55 giorni e dell’ultimo periodo della sua vita sia molto più urgente e necessario riscoprire il Moro politico e uomo di governo, che per importanza e lungimiranza della sua azione politica è stato più influente e innovativo di De Gasperi.
-Secondo lei Moro è stato un conservatore?
Moro era certamente un conservatore, ma un conservatore illuminato. Infatti fu proprio lui il protagonista della nascita della scuola di massa, superando la distinzione tra le medie e l’avviamento professionale, una scuola di serie b in sostanza, permettendo a migliaia di studenti e studentesse di avere una formazione scolastica. Moro è stato anche il politico che ha realizzato la riforma del diritto di famiglia con cui ha equiparato uomini e donne nel rapporto coniugale, abolendo la dote ed altri residui antiquati. Fu soprattutto l’uomo che durante il vertice internazionale di Helsinki cercò di mettere Leonida Breznev, all’epoca capo dell’URSS, in un accordo comune sui diritti umani tra oriente ed occidente, permettendo di fare emergere il dissenso e i cosiddetti testi “samizdat”, proibiti, come il dottor Zivago di Boris Pasternak.
-Lei ha scritto un libro chiamato Aldo Moro il professore. Che ricordo ha del Moro universitario che dialogava con lei e con sua moglie Fiammetta alla Sapienza?
Anche in veste di docente si presentava come una persona straordinaria. Tenete presente che Moro faceva lezione in università il lunedì, il mercoledì e il giovedì e né come Ministro né come Presidente del consiglio ha mai saltato una lezione, questo non solo durante la mia esperienza universitaria ma in tutta la sua carriera accademica. Ad esempio, quando una volta per un impegno internazionale non riuscì a svolgere una lezione ci portò il sabato successivo tutti quanti al Ministero degli esteri, quando ne era il Ministro, per farci recuperare la lezione. La cosa più straordinaria del Moro professore è che alla fine di ogni lezione lui rimaneva in piedi a parlare con noi studenti per almeno due ore, cercando di capire chi eravamo e quali erano i nostri problemi. Infatti possiamo dire con le parole dell’ex Presidente del senato Marini, che lui fu l’unico uomo politico che capì il ’68 nel ’68. Già nel 1967, infatti, parlava di tempi nuovi e nuove idee per sopperire alle esigenze dei giovani, organizzando un confronto con i leader delle giovanili di tutti i partiti politici, dal PCI al PRI passando per l’MSI, per cercare una strategia comune alle problematiche dei giovani italiani. Aveva invitato, da Presidente del Consiglio, tutti questi giovani intraprendenti ad un incontro dove parlò per primo, per almeno due ore, di quali fossero secondo lui le problematiche dei giovani e di come si poteva trovare una via comune per risolverle, e poi interrogò i leader giovanili per chiedergli cosa ne pensassero e quali note proponessero per risolvere questi temi. Allora i giovani dopo aver sentito Moro ammisero che egli in verità ne sapesse più di loro e che quindi avevano bisogno di più tempo per informarsi meglio, così da poter confrontarsi con lui sui questi temi.
-Cosa l’ha colpita di Aldo Moro quando lo ha conosciuto?
La disponibilità nei confronti degli studenti, verso l’ascolto e il dialogo che sin dal nostro primo incontro ho percepito. Infatti il primo giorno di università, era il 1971, ci aveva chiesto indirizzo, numero di telefono. tempo dopo scoprii che lui conservava tutti i nostri numeri di telefono e tutti quelli di tutti gli studenti che aveva avuto. Conoscendolo avevo capito che non era il solito politico ma un uomo unico.
di Francesco Latilla e Francesco Subiaco