Confessione

Giampiero Mughini

"Sono a un’età in cui tutto per me va scemando, a cominciare dal fatto che se guardassi per strada una bella ragazza, quella chiamerebbe i carabinieri. Scema la mia memoria, dimentico i nomi e i cognomi di attori che amo. Scemano le mie gambe, tanto che se devo fare due o tre piani di una scala non sono affatto contento. Scemano le cose che ho in comune con il prossimo mio".
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Carlos, mi fai vedere quel libro di Beigbeder di cui mi parlavi?”. Intendi Premier Bilan après l’apocalypse o Conversations d’un enfant du siècle?”. Neppure il tempo di una risposta che Giampiero Mughini tuona: “Ma come, hai le doppie file?”. “Giampiero, ho tre figli, per fare una libreria comme il faut dovrei ripensare tutta la casa”. Giampiero si sofferma su un quadro sistemato sopra il televisore. “È per caso un Pippo Rizzo?”. “Si, nella versione rivisitata da due amici irriverenti palermitani che vanno pazzi per i futuristi”. Sono abituato ai duelli con Giampiero. Un anno prima, ospite a cena nella sua casa museo di Via Paolo Segneri, mi aveva voluto testare: “Se giri lievemente la testa verso destra, vedrai una foto. La riconosci?”. “Mi sembrerebbe scattata da Tano D’Amico”. “Esatto, e quella accanto?”. “Forse Letizia Battaglia?”. “No, sempre Tano, ma non ci sei andato lontano”.

“Tutti i libri del mondo stanno aspettando che io li legga”.

Roberto Bolaño

A quel primo incontro con Giampiero arrivavo ben attrezzato, dopo vent’anni di letture e riletture della sua sterminata produzione. Oggi ho perso il conto del numero esatto di libri che ha sfornato dalla fine degli Anni Settanta. Sfioro uno per uno tutti quelli che ho accumulato dalla seconda metà dei Novanta, non ricordo se il primo lo comprai da Enzo Cipriano alla Libreria Europa o da Cesaretti al Collegio Romano. Dovrei chiederlo a Valerio Trapasso, mughinologo e testimone storico della mia mughinite. Compagni, addio, Dizionario Sentimentale, A via della Mercede c’era un razzista, Il Grande Disordine, Una casa romana racconta, Addio, gran secolo dei nostri vent’anni: i pilastri della mia educazione intellettuale.

Come un tesoro da scoprire nel momento propizio, solo in questi giorni mi avventuro in Sex Revolution, un’ode alle muse, alle femmes fatales idolatrate da Giampiero: Nico, Edie Sedgwick, Louise Brooks, Zouzou, Marianne Faithfull, Anita Pallenberg. E mi accorgo che a colpirmi sono le sue divagazioni, i guizzi in territori limitrofi popolati da artisti, editori, scrittori: Nobuyoshi Araki, Carlo Mollino, Benedikt Taschen, Jean Jacques Pauvert, Patrick Modiano, Roland Jaccard.

Mi rituffo dopo un ventennio ne La Mia Generazione, ritratto di mentori, cattivi maestri, amicizie consumate e tradite. Da incorniciare la descrizione di Franco Piperno, che nei giorni della latitanza nell’aprile del ’79 trova rifugio nella casa di Trinità dei Pellegrini di Giampiero: “Franco Piperno era la sfumatura e l’ambivalenza fatta persona. Il piede sapeva passarlo da una staffa all’altra, e mentre il cavallo era in piena corsa. Gran giocatore di poker intellettuale, di quelli che raddoppiano la posta quando hanno in mano carte scadenti. Il suo dannunzianesimo di fondo era dissimulato dalla crosta scientifica di cui sapeva coprire le sue tirate politiche e ideologiche. Fisico per mestiere e per passione, c’era del Louis-Ferdinand Céline nel modo in cui raccontava la dittatura della grande industria sulla società italiana”.

In Era di Maggio, dedicato al Sessantotto francese, piena di spunti è la parentesi sul situazionismo e Guy Debord (“ho letto molto, ma ho bevuto di più”). E chi ha amato Flaiano e il gruppo intellettuale gravitante attorno alla Libreria Rossetti di Via Veneto (penso a Cardarelli, Talarico) non può non perdersi nella pagine di Che belle le ragazze di via Margutta. Arriviamo finalmente al libro cult, La Collezione, che mi consente uno spaccato personale. Diversamente da Giampiero, non ho l’ossessione per le prime edizioni. Adoro recuperare in giro per il mondo libri eccentrici il cui contenuto, la cui veste grafica abbiano quel “quid” che li differenzia dagli altri. E per me conta molto il luogo e il momento in cui li scovo, non importa quale sia la loro tiratura o la loro data di comparsa al mondo. A New York nel mese di gennaio ho trascorso tre ore nei sotterranei dello Strand e ne sono uscito pieno di polvere con New York Jew di Alfred Kazin, i Collected Writings di Richard Prince (American Prayer è un livre de chevet di Giampiero), U and I di Nicholson Baker, omaggio infinito a John Updike. La fatica, l’attesa, l’incontro casuale sono privilegi che Amazon non ci può regalare.

Contro il furore collezionistico sono stato vaccinato da Giorgio Mosci, libraio antiquario che sistemò il suo piccolo tempio a 50 metri da casa mia, in via del Teatro Valle: “Carlos, occhio che se ti fissi con le prime edizioni ti toccherà andare in banca per avere un mutuo”. E ben lo sa Giampiero che da anni tenta di difendersi contro le insidie e le leccornie offerte dalla Libreria Pontremoli dove non a caso ho comprato il Catalogo della sua Collezione Futurista: “il pericolo alla Pontremoli si annida ovunque, voglio dire la proposta tentante, la miccia che si accende a rovinare il tuo budget dei prossimi mesi, il libro che raccatti con mano tremante da quanto lo avevi cercato”.

In questo dialogo serrato con Giampiero Mughini rompo gli indugi con una domanda inevitabile:

-Dopo le Memorie di un rinnegato, avevi promesso di non scrivere più un libro. A differenza di Philip Roth, ti sei smentito. È in uscita uno nuovo. Per fortuna.

A dire il vero avevo scritto che “forse” il Memorie di un rinnegato sarebbe stato l’ultimo mio libro, e questo perché era un bilancio leale e completo dei miei anni “maturi”, tra la fine della Prima Repubblica e questo andazzo spaventoso che sono state la Seconda e la Terza Repubblica. Il fatto è che mi sento senza voce rispetto ai casi nostri odierni. Neppure sotto tortura scriverei qualcosa i cui protagonisti siano Di Maio o Salvini o lo stesso Zingaretti, peraltro bravissima persona. È come se di questo terzo millennio non capissi e sapessi nulla. E difatti quel che scrivo è quasi sempre roba di dieci, venti o trent’anni fa. Così è nel libro che senza la pandemia sarebbe già uscito e che invece uscirà in settembre, il Nuovo dizionario sentimentale.

-Racconti di “passare le giornate in una stanza avvolto dagli scaffali della tua biblioteca”. Hai fatto tuo l’insegnamento di Flaubert, “Sii ben ordinato nella tua vita, e ordinario come un borghese, in modo da poter essere violento e originale nel tuo lavoro”?

Di natura non sono un gran viaggiatore, anche se per lavoro l’Italia l’ho percorsa in lungo e in largo. Viaggio molto con la mente, e i libri della mia biblioteca mi aiutano molto a farlo, a fare viaggi importanti voglio dire, a percorrere sentieri “originali” ma non credo “violenti”. Col passare del tempo mi sento sempre più attratto dai colori di mezzo, non dalle sentenze che spaccano la mela in due, tutto il Bene da una parte e tutto il Male dall’altra. Le novanta pagine più importanti del mio nuovo libro sono una sorta di celebrazione dei colori di mezzo, delle verità che stanno un po’ di qua e un po’ di là, e ammesso che delle verità esistano davvero: e non invece soltanto delle esperienze.

-In girum imus nocte et consumimur igni diceva Debord: c’è stata una notte della tua vita in cui ha rischiato davvero di “bruciarti”?  

Ho avuto a lungo paura della “notte”, forse perché è il regno di quello che ti può “bruciare”. Più e più volte ho detto a una donna che ero stanco, che me ne andavo a letto per i fatti miei. Non ho mai frequentato una discoteca, per dire di un luogo che pure mi attira molto. In più ho sofferto per anni di insonnia e dovevo preservare il mio riposo con l’andare a letto per tempo… No, no, purtroppo non mi sono mai “bruciato” per come tu lo intendi. Per viltà e paura di ciò che non puoi governare? Senza dubbio.

-Da sempre vedi le partite da solo a casa in religioso silenzio. Ma perché privarsi della gioia dello stadio? Vedere il Guernica riprodotto in un catalogo non è la stessa cosa che goderselo dal vivo.  

Hai ragione, vedere il calcio dal vivo è tutt’altra cosa. Epperò uno deve scegliere, e siccome il calcio è per me una passione onanista – una passione del sogno e del pensiero – quella passione me la covo per bene nel silenzio della stanzetta dov’è il mio televisore. E poi c’è che non amo i tifosi, non lo potrei sopportare di avere accanto gente che fischia gli atleti della squadra avversaria. La bellezza dello sport sta nel fatto che è uno scontro leale, alla pari, dove alla fine della partita stringi la mano all’avversario. La gente che va allo stadio non lo vive così.

-Sei uno dei pochi che ammette senza pudore e ipocrisie di frequentare da sempre la pornografia e infatti nel tuo personale pantheon di Pornhub ci sono Aidra Fox, Tori Black, Tera Patrick. Se tu avessi oggi il potere di strappare al tuo immaginario cartaceo (e non solo) una delle tue icone più amate (BB, Nico, Zouzou) chi sceglieresti da ammirare su Pornhub?

No, Tori Black e Tera Patrick stanno benissimo nello scenario porno. BB e Zouzou non ci starebbero affatto, perché verrebbe meno quella bruciante ambiguità che dà loro luce e smalto. BB smanazzata da James Dean? Ma non scherziamo. BB che canta a fianco di Serge Gainsbourg le parole che lui ha scritto in suo onore, quello sì che è un inferno della sensualità.

-Francisco Umbral, a cui assomigli molto, disse una volta: “Yo cuando voy a la televisión es porque me pagan, yo no vengo a las televisiones gratuitamente como un paria”. Sottoscrivi in pieno?

Ringrazio il cielo di avere inventato la televisione, da cui ricavo qualche obolo al tempo in cui la carta dei giornali di oboli non ne paga più.

-Hai detto, citando un personaggio di Romain Gary, che “sei arrivato in un’età in cui è Dio che dovrebbe occuparsi di me e non io di lui”.  Ti chiederei un ulteriore commento.

È molto semplice. Sono a un’età in cui tutto per me va scemando, a cominciare dal fatto che se guardassi per strada una bella ragazza, quella chiamerebbe i carabinieri. Scema la mia memoria, dimentico i nomi e i cognomi di attori che amo. Scemano le mie gambe, tanto che se devo fare due o tre piani di una scala non sono affatto contento. Scemano le cose che ho in comune con il prossimo mio. Michela, la compagna della mia vita, mi ha detto a proposito di un articolo in cui citavo Robert Brasillach: “Ma perché scrivi di gente che non conosce nessuno?”

-Hai fatto i conti con il tuo passato gauchiste e molti della tua generazione non te lo hanno perdonato. Qual è l’amicizia interrotta che ti ha ferito di più?

In realtà le amicizie rotte per i motivi che dici rappresentano un vero e proprio cimitero nel reame della mia memoria. Quando uscì nel 1987 il mio Compagni, addio, mi telefonò una che era stata una mia notevole amica, una che aveva avuto il padre assassinato alle Fosse Ardeatine. Mi disse che siccome mi era amica non avrebbe parlato del mio libro, e voleva dire che di quel mio libro se ne poteva parlare solo in senso sprezzante. Dopo quella telefonata non l’ho mai più voluta vedere né sentire. Trent’anni dopo l’ho avuta vicina, di fronte a un’edicola dove io e lei stavamo comprando dei giornali. Lei scodinzolava, credendo che non l’avessi riconosciuta dato che non le rivolgevo la parola. Le ho detto “Guarda che ti ho riconosciuto benissimo” e non ho aggiunto altro prima di andarmene. Ci sono offese che non si possono e non si devono perdonare.

-Nella tua collezione sacra c’è un libro di cui ti priveresti o semmai scambieresti?

Dar via un libro che è entrato nella mia collezione? Mai, e neppure se in cambio me ne dessero uno che vale tre volte tanto.

-Hai venduto la tua collezione di libri futuristi, ma è evidente che la passione per i libri introvabili non si è mai spenta. Esiste uno in particolare a cui dai ancora la caccia?

Nella mia collezione di letteratura italiana tra fine Ottocento e Novecento, non c’è il Pinocchio di Collodi in prima edizione, beninteso nella sua brossura originale. È un libro rarissimo da trovare. In quarant’anni che colleziono l’ho visto una volta soltanto, venduto a un grande collezionista italiano che viveva in Svizzera. A trovarlo oggi ci vorrebbero 40mila euro almeno.

Roma, Luglio 2023. X Martedì di Dissipatio

A proposito di libri introvabili, ho dimenticato di chiedere a Giampiero una copia del suo Ferrara, con furore del ’90. Mi toccherà contattare i miei pusher di libri sparsi in giro per l’Italia. Male che vada, ho un pretesto formidabile per tornare in Via Paolo Segneri e strappare l’ennesima dedica.

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