“Dovunque suona accento della lingua nostra, dovunque la nostra civiltà lasciò tradizioni, dovunque sono fratelli nostri che vogliono e debbono rimanere tali, ivi è un pezzo della patria che non possiamo dimenticare”: il manifesto della Società Dante Alighieri chiarifica la profonda rilevanza di un’idea di Italia che travalica i confini nazionali, una cultura italiana “patria più grande, cui si può appartenere pur coltivando altre identità o avendo altre nazionalità, come realtà di elezione”, che ha nell’idioma il suo più potente mezzo d’espressione.
Nel mondo globale, la lingua è strumento funzionale al soft power, elemento strategico. E l’Italia deve comprendere che nessuna reale tutela e promozione della sua cultura potrà mai essere completa senza partire dalla valorizzazione dell’italiano. Lingua franca della Chiesa cattolica, lingua del melodramma, onorata da una letteratura illustre, l’italiano ha tutte le potenzialità per giocare un ruolo nel presente. In particolare come piattaforma d’attrazione del crescente interesse che nel mondo va sviluppandosi per la nostra cultura, la nostra storia, la nostra arte, fattore aggregante della sintonia tra coloro che Piero Bassetti ha definito “italici”.
Affinchè le potenzialità sino ad ora non sfruttate dell’italiano possano essere capitalizzate, il mondo istituzionale deve contribuire alla sua positiva promozione e a controbattere lo svilimento del nostro idioma che troppe volte si vede andare in scena negli spazi dedicati all’educazione e alla formazione della popolazione. Nel 2017 fece molto parlare di sé la proposta del Presidente della Società Dante Alighieri Andrea Riccardi di istituire una sorta di “Commonwealth italiano” a cui parteciperebbero “solo alcuni Stati, ma anche Paesi, regioni, città del mondo interessati a mantenere un legame con l’Italia[3]”: idea condivisibile a patto che sia proprio il governo di Roma a prendere l’iniziativa, costituendosi come primo promotore delle fondamenta strutturali di una nazione che ha sempre saputo mediare sé stessa col resto del mondo e ha fatto della resilienza della sua cultura e dell’apertura al resto del mondo un fattore di forza. Finalmente arrivata a realizzazione nelle scorse giornate con l’istituzione di un dipartimento per la promozione della cultura nazionale in seno alla Farnesina.
La lingua italiana ha, in questo contesto, un’importante profondità strategica e le istituzioni sono le prime a doverla veicolare: assistere alla creazione di un forum di coordinamento e monitoraggio della promozione della lingua italiana nel mondo in sede governativa avrebbe sicuramente effetti positivi, specie se a ciò si unisse un ampliamento dei fondi destinati alle attività della Società Dante Alighieri, che dispone di stanziamenti governativi di poco superiori ai 500.000 euro annui, un’inezia rispetto ai 12 milioni di cui gode il portoghese Istituto Camoes e gli 80 milioni dello spagnolo Istituto Cervantes.
Il tema della lingua è vitale per sviluppare, sul lungo periodo, un serio discorso sulla valorizzazione culturale del Paese. Approfondire l’operato già svolto dalla Società Dante Alighieri, alimentare l’Italia nel mondo con contributi provenienti dai più alti livelli istituzionali rappresenterebbe non solo un grande sforzo culturale, ma anche un contributo di primaria grandezza all’internazionalizzazione dell’immagine di un Paese che nel mondo appare “vivo, bello e attrattivo”.
Uno sforzo di natura geopolitica, dato che contriburrebbe all’evoluzione del soft power che per l’Italia è l’asset più importante da sfruttare nelle dinamiche mondiali. Perché siamo, fondamentalmente, un impero culturale. Un impero benevolo, ponte di civiltà, che con cultura e arte affascina da secoli i Paesi che ad essa guardano e nel mondo vive nel ricordo delle comunità eredi delle decine di milioni di persone partite dalle sue terre tra il XIX e il XX secolo. Valorizzare la lingua italiana come strumento centrale di questo mosaico è vitale per scoprire tutte le potenzialità della profondità strategica che abbiamo esplorato.