OGGETTO: Geopolitica del coronavirus
DATA: 24 Febbraio 2020
Perché dietro l'allarmismo e il terrorismo mediatico che si sta facendo sul coronavirus si nasconde un altro capitolo dello guerra fredda contro Pechino.
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Il COVID-19 è ufficialmente arrivato in Italia e dopo soli due giorni ha palesato tutta l’inefficienza, l’incompetenza e l’impreparazione del sistema-paese, lasciandosi dietro una scia di 120 contagiati accertati e 3 morti. Il governo sta approntando in queste ore un piano di emergenza ed aumentano le province che optano per forme di auto-quarantena preventiva, in assenza di direttive ufficiali da parte dell’esecutivo, ricorrendo alla chiusura di uffici amministrativi, scuole e università. La risposta alla pandemia sta venendo dal basso, anche se avrebbe dovuto essere indicata dall’alto.

La politica nostrana, però, non ha potuto fornire alcun supporto per un motivo molto semplice: era, ed è ancora, polarizzata in tifoserie in un momento in cui avrebbe dovuto mettere da parte gli antagonismi per il bene supremo della nazione, della salute pubblica. Non è accaduto e, di conseguenza, l’Italia è diventata in due giorni il paese con il più alto numero di infetti dopo Cina e Corea del Sud.

Lo scoppio dell’epidemia, partita lo scorso dicembre dalla città di Wuhan, è stata l’occasione, in Italia come in parte del mondo occidentale, per aprire un nuovo capitolo della guerra fredda contro la Cina, a pochi giorni dalla semi-chiusura del primo, con il raggiungimento dell’accordo commerciale fra Trump e Xi. Mass media e politici, soprattutto appartenenti alla galassia del sovranismo e del populismo di destra, hanno portato avanti campagne volutamente allarmiste, catastrofiste, puntando il dito contro non solo contro le presunte mancanze e i presunti silenzi del governo cinese ma, soprattutto, contro il popolo cinese.

Ed è così che piattaforme sociali come Facebook sono state invase da bufale, catene di sant’Antonio, falsi reportage, riguardanti gli usi e i costumi dei cinesi, come il consumo di pipistrelli, e le loro dubbie abitudini quotidiane, come l’ostilità per la doccia e la pulizia e l’igiene del corpo. Il COVID-19 sarebbe quindi apparso in Cina perché altrove, in paesi realmente sviluppati, civili e all’avanguardia come Francia, Stati Uniti o la stessa Italia, non avrebbe potuto, mancando le condizioni di base.

Lo stereotipo del lavoratore cinese, indefesso e stacanovista, è stato rapidamente sostituito da stereotipi negativi, come quello del cinese sporco o del cinese selvaggio mangia-pipistrelli. Anche questa è geopolitica, perché il clima di paura e terrore magistralmente creato da una parte del mondo politico, con la complicità dei mass media, ha accentuato la già esistente e crescente polarizzazione fra il blocco occidentale e la Cina.

Secondo una certa chiave di lettura, il COVID-19 rappresenterebbe l’ultima ragione per la quale dovremmo temere la Cina, che sarebbe rivale e nemica dell’Occidente per una lunga lista di motivi, fra i quali il 5G cancerogeno e spionistico di Huawei, la Nuova Via della Seta che ridurrebbe l’Eurasia nel supermercato a cielo aperto di Pechino, il pericoloso avvicinamento con la Russia che minaccia l’Occidente libero, aperto e dei diritti e, infine, il modo inumano con cui il Partito Comunista sta tentando di risolvere la questione del separatismo, della radicalizzazione e del terrorismo islamista nello Xinjang.

L’Iran fa paura perché è una teocrazia che vuole dotarsi dell’arma atomica, ma l’Arabia Saudita, che è retta dalla più rigida forma di shari’a esistente e che finanzia il terrorismo islamista da 40 anni, è un alleato da preservare e proteggere e sta anche ottenendo di poter avviare un programma nucleare.  La Russia fa paura perché è una democrazia incompiuta, imperfetta, illiberale, dove il potere politico è monopolizzato in maniera autoritaria da Vladimir Putin e dove il giornalismo è un mestiere che può condurre alla morte. Ma la Turchia, che tiene sotto scacco l’Unione Europea con il ricatto migratorio, promuove la radicalizzazione religiosa fra i musulmani europei e guida un’agenda ostile e contraria agli interessi di Bruxelles nei Balcani, ossia nel cortile di casa dell’Ue, è un alleato-chiave della Nato e nessuna critica può esserle mossa per le purghe post-golpe ancora in corso o per la sua politica estera bellicista.

La Cina fa paura perché è una dittatura comunista con aspirazioni egemoniche sull’Eurasia e il COVID-19 potrebbe essere un’arma batteriologica fuggita da un laboratorio o, peggio ancora, rilasciata volontariamente per testarne gli effetti sulla popolazione e portare il caos in Occidente. Ma gli Stati Uniti sono il nostro alleato, il custode del mondo libero, pur avendo realmente e indiscriminatamente testato armi batteriologiche sulla loro popolazione, vedasi l’esperimento sulla sifilide di Tuskegee, il progetto 112, e le operazioni May Day e Drop Kick.

Ieri era la paura iraqena, poi è venuto il tempo di quella libica, oggi è il turno dell’iranofobia, dell’isteria russofoba neomaccartista, e della rinata paura gialla. Il cinese è il nemico da combattere non solo perché utilizza la sua tecnologia per spiarci o perché depreda le nostre economie, ma anche perché, adesso, vuole farci ammalare, ucciderci, con i suoi virus fatti in casa.

L’unica reazione possibile, a questo punto, è chiuderci: stop ai flussi turistici, stop ai flussi commerciali, stop anche alla Nuova Via della Seta. E, in effetti, poco alla volta sta accadendo, un po’ per giusta prevenzione ma, soprattutto, per ragioni geopolitiche: il disaccoppiamento fra le economie occidentale e cinese. E sarà proprio quest’ultimo tema, il disaccoppiamento, ad essere l’oggetto della nuova puntata di Confini.

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