OGGETTO: Un abbacchio per il Leone
DATA: 19 Marzo 2022
SEZIONE: Economia
AREA: Italia
Donnet contro Caltagirone. La battaglia per il cuore dell'impero di Generali è al suo passaggio decisivo.
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La battaglia è cominciata e Philippe Donnet appare nella posizione migliore per veleggiare verso la riconferma alla guida di Generali. La presentazione della lista da parte del Consiglio di Amministrazione uscente del Leone di Trieste e quella del patto formato da Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone che si presenta come sfidante mostra che l’asse di potere romano è decisamente meno arrembante nel tentativo di conquistare il principale attore economico privato del Nord.

Viene in mente la metafora di un celebre film, Leoni per agnelli, capolavoro dretto da Robert Redford che rappresenta un  racconto della complessa formazione della classe dirigente americana negli anni della guerra al Terrore. Film il cui approccio (quello tipico e intelligente di Redford) richiamava l’Americana alla responsabilità di fare i conti con le proprie scelte passate e future. In Generali, la lista del Leone, presentata dal CdA uscente, si scontra con quella di Caltagirone e soci, che più che agnelli (capitani coraggiosi intimoriti dalla sfida) potremmo definire, per ragioni di origine territoriale, abbacchi.

Il Leone triestino si mangerà l’abbacchio romano? Così pare, stando allo standing delle due liste presentate. Quella di Caltagirone non appare all’altezza dell’ambizione, manifestata con toni piuttosto bruschi in questi mesi dal costruttore romano, di sfidare a viso aperto l’amministratore delegato uscente. Chi si aspettava  un grande nome proveniente da un top player delle assicurazioni di scala globale o una figura di assoluto prestigio nazionale è rimasto deluso e si deve accontentare di un riporto dello stesso Donnet. Nella lista di Caltagirone mancano figure di questo tipo e anche i nomi proposti nella girandola delle scorse settimane (tra tutti quello di Marco Alverà, ad di Snam) non erano afferenti a profili tecnici. A parte l’economista Marina Brogi, attualmente membro del cda di MFE MediaforEurope, la lista dei tredici nomi presenta piuttosto un elenco di grandi ex: Flavio Cattaneo, ex ad di Terna, Tim e Ntv; Roberta Neri, ex ad di Enav e in precedenza cfo di Acea; Claudio Costamagna, ex Goldman Sachs ed ex presidente di Salini Impregilo e di Cassa Depositi e Prestiti.

Come amministratore delegato Caltagirone e i suoi alleati propongono Luciano Cirinnà, attualmente responsabile per l’Austria e l’Europa Orientale del Leone a riporto dello stesso Donnet. Una scelta forse dettata dall’indisponibilità di molti dei soggetti contattati e che appare difficilmente conciliabile con gli stessi piani di successione interni adottati da Generali e votati in Cda da Caltagironeche indicherebbero i Country Manager di Francia e Italia, Granier e Sesana,  come primi successori dell’ad in carica. La lista, inoltre, appare eccessivamente appiattita sul salotto vicino all’editore romano ed ex vicepresidente del Leone: Neri e Cattaneo  il ruolo di consiglieri per Caltagirone lo hanno già ricoperto in  Cementir, holding di diritto olandese di proprietà dell’editore de Il Messaggero; inoltre, mancano specifiche professionalità in ambito ESG e IT/AI capaci di rappresentare un’amministrazione credibile per un’assicurazione che compete sui mercati globali come Generali. Inoltre non vi sono nomi e CV dal profilo internazionale, come sarebbe stato lecito  aspettarsi in caso di maggior coinvolgimento di Del Vecchio (il paragone con la lista proposta per board di  di Essilux è impietosoin tal senso), tanto che gli osservatori più attenti iniziano a interrogarsi sulla possibilità che Del Vecchio valuti di astenersi, o far convergere altrove il suo voto in assemblea (d’altronde il patto stipulato è stato abbandonato dallo stesso Caltagirone). Che la lista abbia ben poche chance di risultare la più votata è chiaro d’altronde anche a chi la presenta dal momento che non prevede né Costamagna, candidato presidente,  né Cirinnà, candidato ad, nei primi tre posti. Per non rischiare un clamoroso autogol rimanendo fuori dal consiglio Caltagirone ha deciso che a occupare i primi tre posti, quelli che spetterebbero alla lista in caso non risultasse la più votata,  dovesse essere proprio lui insieme ai fedelissimiCattaneo e Brogi. Insomma, una lista a perdere.

Sotto questa luce, viene meno il presupposto fondamentale su cui Caltagirone aveva costruito la sfida a Donnet: rafforzare il piano industriale, portare avanti il business con innovazioni e prospettive diverse. Delle competenze in ambito ESG e in fatto di innovazione tecnologica,  competenze critiche per le assicurazioni di domani, non vi è traccia. Una lista romanocentrica, composta da persone molto vicine al mondo di Caltagirone e strutturata per far tornare in circolo i nomi di manager tuttora privi di incarichi primari potrebbe mai essere in grado di ottenere i voti dei soci finanziari e degli investitori necessari a battere quella del CdA uscente? I dubbi in materia sono legittimi.

Ritorna la grande questione del dibattito tra mercato e “salotto buono” di cui abbiamo parlato come della trama principale che si sarebbe dipanata lungo il filo della battaglia per Generali.  I risultati di mercato hanno senz’altro premiato nell’ultimo triennio la gestione Donnet: di recente è stato annunciato che il Leone ha concluso il 2021 con il risultato operativo migliore di sempre, pari a 5,9 miliardi di euro (+12,4% sul 2020), grazie al positivo sviluppo di tutti i segmenti di business. L’Utile netto in forte crescita si attesta a 2,84 miliardi (+63,3%). Nel nuovo piano industriale, dopo aver deciso di investire 6 miliardi di euro in obbligazioni verdi e sostenibili nel periodo 2019-2021, superando l’obiettivo di 5 miliardi che era stato prefissato, per il prossimo triennio Generali mira a 8,5-9,5 miliardi. E tali risultati, oltre agli investimenti prefissati in ricerca e sviluppo, innovazione e diversificazione, vanno ponderati col fatto che Generali è un gruppo concentrato principalmente sul ramo Vita, a minor rendimento operativo rispetto a quello Danni. Nel nuovo contesto del piano industriale in via di applicazione il gruppo si propone innanzitutto di mettere a segno una crescita superiore al 4% nella raccolta danni non auto, valorizzando in particolare segmenti dall’elevato potenziale di sviluppo come il comparto delle piccole e medie imprese, unendo dunque un radicamento strategico nei territori a una catene del valore internazionale, così come internazionale sarà il profilo dei consiglieri chiamati a rinnovare il board: la decisione di indicare come presidente il rettore dell’Università Bocconi e presidente di Borsa Italiana Andrea Sironi, in quest’ottica, appare come la volontà di promuovere potenzialità economiche di carattere sistemico.

Parlando delle nomine pubbliche in un’analisi per Il Foglio, un anno fa Claudio Cerasa  ha parlato della necessità di sostituire nelle partecipate a una classe di manager legati al sottobosco del potere romano un maggior numero di dirigenti orientati alla padronanza delle logiche dell’economia di mercato, dotati di visione strategica e di capacità di azione in campo italiano e internazionale. Cerasa riteneva la costruzione di un’alchimia politica che non faccia venire meno l’esigenza per le società partecipate dal Tesoro di essere punti di riferimento in mercato che le vede nei settori di riferimento come prime contractor ma sappia coniugarla con il loro ruolo di punti di riferimento per l’interesse nazionale in materia economica. A livello privato la questione Generali è esattamente speculare a questa necessità. Il dualismo tra salotto e mercato, tra rendita e contesto di crescita internazionale, tra piccolo cabotaggio e grandi ambizioni si manifesta apertamente. Nei mesi scorsi Cerasa, in un nuovo editoriale, ha sembrato identificare la parte virtuosa del meccanismo nel patto Caltagirone-Del Vecchio, scrivendo che “se gli avversari di Caltagirone e Del Vecchio avranno la forza di rispondere alla sfida di mercato non con un’iniezione di cavilli, come appare finora, ma con un’iniezione di innovazione, per Generali il futuro, grazie alla stagione dei capitali coraggiosi, potrebbe essere più roseo rispetto a come lo è oggi”. Una scivolata, una deviazione sul tema, che a Cerasa si perdona e di cui il direttore del quotidiano fondato da Giuliano Ferara sembra esser stato poi conscio. Tanto che sempre su Il Foglio l’economista Carlo Alberto Carnevale Maffé ha ribadito che la stessa logica di competizione manifestata in queste giornate in vista dell’assemblea del 29 aprile sta mostrando al mondo l’esistenza di un capitalismo florido e in grado di confrontarsi con le logiche di mercato, non necessariamente perdente con quello relazionale e di piccolo cabotaggio dei salotti.

Nella battaglia per il controllo del board di Generali c’è anche la storia del quesito “missing” alla Consob. Nei giorni scorsi alcuni organi di stampa hanno scritto a più riprese su un quesito che la cordata Caltagirone-Del Vecchio, desiderosa di disarcionare Philippe Donnet alla prossima assemblea degli azionisti della compagnia, avrebbe presentato all’autorità di vigilanza. A quest’ultima sarebbe stato chiesto di pronunciarsi sulla legittimità dell’operazione di prestito titoli intrapresa da Mediobanca per aumentare la sua potenza di fuoco per sostenere la lista del Cda. Lista che proprio oggi verrà sdoganata dal board uscente di Generali e che contiene anche la riconferma di Donnet. In aggiunta alla partecipazione detenuta in proprio (12,8%) Mediobanca, potrà aggiungere anche una quota del 4,4 per cento ottenuta, appunto, in prestito da altri investitori istituzionali.

La Consob, per la verità, non avrebbe titolo di pronunciarsi visto che nessuna norma, primaria o secondaria, disciplina il tema e che la pratica del diritto di voto su titoli avuti in prestito (il cosiddetto empting voting) è generalmente accolta dalla dottrina senza tentennamenti. Ma, oltre a tutto questo, c’è un dettaglio in più. L’ufficio stampa della Consob, chiamato a confermare l’apertura di un fascicolo, ha ufficialmente negato che un quesito del genere sia stato mai presentato ai suoi uffici. L’infowar non fa bene al giudizio sui piani industriali e le forze in campo e il silenzio dell’autorità guidata dal navigato Paolo Savona sulla questione mostra che anche la Consob ha fiducia in una soluzione di mercato. E questo, per il sistema-Paese, mostra che la concorrenza in Italia è viva e florida nei suoi gangli chiave. E dopo l’onda della pandemia è una bella immagine per la salute economica del Paese.

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