È semibuia e rumorosa la sala dell’Hotel Amerika dove numerosi clienti sono seduti a ritemprarsi dalle fatiche giornaliere. Il vociare di sottofondo è quello tipico di una qualsiasi taverna: un frastuono dove è difficile distinguere le singole parole e dal quale emerge un mormorio indistinto di piatti e pentolame interrotto dal via vai dell’oste e dei suoi camerieri vestiti alla turca. Il fumo delle pipe inebria la stanza di un aroma dolciastro con una punta acre che offusca la vista.
C’è un tavolo dove tutti i suoi commensali hanno lo sguardo rivolto all’entrata. Sono avventori come tanti altri, circondati dall’anonimato tipico della vita qualunque. Ma non sono persone comuni: hanno altri piani per riscattare l’oblio che diversamente accompagnerebbe il loro destino. Se l’oste lo sapesse farebbe bene a tenerli d’occhio. Tra una ventina di giorni le autorità asburgiche busseranno alla sua porta per avere risposte ferme e dettagliate e a quel punto sarebbe meglio averle.
A Sabac, in Bosnia, il 5 giugno del 1914, in questo remoto albergo, qualcosa di rivoluzionario si sta muovendo. I commensali sono tutti ragazzi di età liceale appartenenti alla Mlada Bosna (Giovane Bosnia). Associazione irredentista, panslavista e intellettuale direttamente ispirata alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini. Tra i suoi aderenti ci sarà anche Ivo Andric’, futuro premio Nobel alla letteratura. Presente al tavolo, timido ma risoluto, c’è Lui, il volto più noto alle masse di questa vicenda: Gavrilo Princip. Ateo e socialista, gli ultimi anni della sua breve vita li ha passati a studiare al liceo di Belgrado nonostante sia nato nella Bosnia imperiale. Sarà lui, per una serie di coincidenze, a uccidere Francesco Ferdinando e la sua consorte Sofia, a Sarajevo il 28 Giugno 1914.
Gavrilo nei sussidiari scolastici è uno di quei personaggi facenti parte di una narrazione ingiustamente legata alle tenebre e agli incubi. Difficile definirlo un personaggio attuale. È un idealista, un uomo astratto e poco pragmatico pronto al sacrificio estremo per una patria di cui nemmeno lui vede i confini. Una vita dedita al collettivismo e all’edificazione di un concetto di popolo che mal si accosta all’odierna realtà individualista, segnata da una dilagante retorica di superamento dell’identità nazionale.
Profondamente diverso dall’arciduca, il quale sembra essere un uomo di anticipo rispetto ai primi anni del secolo: cattolicissimo, antisemita, populista d’avanguardia convinto che i pregiudizi e i miti siano la chiave per governare e soggiogare le masse.
Il suo assassinio verrà definito nei libri “la goccia che fece traboccare il vaso”. Quasi a giustificare un limite della pazienza per trascinare il mondo in un sanguinosissimo effetto a catena. Ed è proprio questo il paradosso: l’Impero asburgico ha di fatto perso la guerra e quasi tutti i suoi possedimenti, ma sembra essere stato consacrato nei testi scolastici dove spesso viene completamente ignorato il fatto che a Sarajevo, Francesco Ferdinando rappresentava una carica istituzionale non voluta e non apprezzata dagli slavi del sud. Un erede al trono di un impero illegittimo in quell’area geografica, che poco ha saputo interpretare la volontà delle popolazioni locali. Una manipolazione storica che non ha voluto attribuire la parola tirannicidio ma che poi, in altri casi, perdona o dimentica ad altri personaggi di avere ucciso in nome di un ideale, donando alle aspirazioni di Princip e della Mlada Bosna l’oblio storico che si vive attraverso la semplificazione della società.
La stessa pallottola che colpisce a morte l’erede al trono lascia vivi tutti quelli che oggi parlano di Gavrilo applicandogli criteri morali, culturali e politici del mondo di oggi. Ignorando cosa esso aveva in mente al momento dello sparo, in cosa credeva e come immaginava un mondo ideale, rifiutando allo stesso modo di pensare a come Francesco Ferdinando vedesse il proprio e se esso fosse compatibile con le comunità locali sottomesse al Suo impero.
A tutti gli effetti è uno dei primi esempi di corruzione mediatica delle masse in tempi recenti, dove vengono travisate tutte le ragioni che portano ad un conflitto. La differenza tra storia e narrazione la si vede fin dal principio: Princip e la Giovane Bosnia volevano unire tutti gli slavi del sud e l’appoggio, minimo, ottenuto dalla Mano nera (associazione segreta serba) è stato solo un compromesso necessario per ottenere le armi e non un matrimonio ideologico. Come riassumerà benissimo in una frase Miljenko Jergović: “Follia bosniaca, armi serbe”.
Da qui nascerà appunto la contrapposizione: i giovani bosniaci insisteranno sui loro ideali jugoslavi mentre gli austrofili gli attribuiranno sempre l’ambizione per una Velika Srbija (Grande Serbia).
Se quindi la figura di Princip non è attuale, lo stesso non si può affermare sul processo di mistificazione giornalistica che avviene, anche postumo, per gli eventi che sono destinati a dividere i popoli e le coscienze regalando alle masse ad una verità parzialmente artificiosa che vive la necessità fisiologica di schierarsi su un fronte piuttosto che in un altro. Paradossale è il fatto che questo traviamento della verità sia avvenuto in un Paese come l’Italia che, all’epoca, era contrapposta militarmente all’Austria. Ma negli anni successivi sarebbe stato utile a noi, e ai nostri alleati, screditare la Serbia come Paese canaglia visto il fortissimo legame culturale e religioso che è da sempre l’antitesi di un fantomatico blocco occidentale. A smentire il proverbio che non sempre la storia la scrivono i vincitori.