OGGETTO: Flora di Yukio Mishima
DATA: 17 Dicembre 2020
SEZIONE: inEvidenza
Crisantemi, ortensie, girasoli, peonie: i libri di Mishima sono pieni di fiori e di piante. In particolare, il grande scrittore era ossessionato dalla rosa. In esclusiva, un saggio del filosofo giapponese Atsushi Tanigawa
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Il giorno successivo al suicidio di Yukio Mishima, il 26 novembre 1970, Donald Keene –  traduttore e yamatologo statunitense, nell’edizione serale del quotidiano ‘Mainichi Shinbun’, pubblicò un articolo commemorativo dal titolo “La morte di Yukio Mishima”. Riportava così:

“Per esempio, quando due anni fa siamo andati insieme sul Monte Miwa a Nara per una ricerca, mi sono meravigliato nello scoprire che il sig. Mishima non sapesse quasi nulla quanto a nomi di alberi, fiori ed animali, lui così magnifico narratore della natura. Sulla collina dietro il tempio shintoista il sig. Mishima ad un vecchio giardiniere domandò “che albero fosse”. Sorpreso, l’uomo rispose “Matsu (pino)”, ma subito si corresse con “noi lo chiamiamo Mematsu 雌マツ (pino femminile)”, forse pensando che lui chiedesse di che specie di pino si trattava. Allora il sig. Mishima, tenendo una matita in mano, seriamente domandò: “ci sono soltanto Mematsu e non ci sono Omatsu 雄マツ (pino maschile). Perché nascono Komatsu 子マツ (pino bambino)?” 

Sembra quasi che Mishima ignorasse che il pino rosso giapponese è detto Mematsu, che il pino nero si chiama Omatsu, e che il sesso biologico non c’entra nulla con i loro nomi, in quanto le denominazioni provengono dall’aspetto fisico in cui essi si presentano; il Mematsu ha foglie corte e morbide ed il tronco è rossiccio, mentre l’Omatsu ha le foglie più lunghe e dure ed il tronco è grigio scuro. Ad ogni modo, penso che sarebbe davvero troppo severo bollarlo come un ignorante in botanica solo per via di questo singolo episodio.  Keene era uno studioso di Letteratura Giapponese che tradusse in inglese le opere di Mishima “Cinque Nō moderni 近代能楽集”, “Dopo il banchetto 宴のあと” e “Madame de Sadeサド侯爵夫人 ”, e fu suo amico per tutta quanta la vita. Per me fu una vera sorpresa leggere che proprio lui aveva usato queste parole. Guardando a “Sukanpo 酸模” (“Acetosa”), opera prima del 1938 pubblicata ancora con il suo vero nome, Kimitake HIRAOKA 平岡公威, all’età di 13 anni, e poi a “La foresta in fiore 花ざかりの森” , primo romanzo sotto lo pseudonimo di Yukio MISHIMA 三島由紀夫,  datato 1941, è lecito supporre che il mondo letterario di Mishima prendesse vita assieme all’universo botanico. Considerando poi titoli di romanzi e di drammi quali “Ipomea朝顔”, “Azalea mattutina 朝の躑躅”, “Iris あやめ”, “Crisantemi del decimo giorno十日の菊 ”, “Albero tropicale 熱帯樹”, “Peonia 牡丹”, “Il girasole della notte 夜の向日葵”, “Il pino della Hama Rikyu離宮の松”, come anche i saggi del periodo giovanile  “Fiori di ciliegio 桜”, “Fiori di crisantemo 菊花” e “Ortensia 紫陽花”, non credo ci si possa azzardare a dire che Mishima sapeva poco o nulla quanto a nomi di alberi e fiori.

Invece, riguardo al pino (Matsu 松 in giapponese), potremmo domandarci come mai avesse chiamato Kiyoaki MATSUGAE 松枝清顕 il protagonista di “Neve di primavera 春の雪”, primo capitolo della tetralogia “Il mare della fertilità 豊饒の海”. MATSUGAE significa ‘un ramo di pino (Matsu 松 = pino, E / Eda 枝 = ramo)’. Ipotizzo che Mishima nutrisse qualche suggestione od interesse particolari riguardo all’albero del pino, e comincio allora a riguardare a quell’episodio descritto da Keene in un’ottica assai diversa. Parecchio tempo fa visitai il tempio di Ensho円照寺alla periferia della città di Nara (una delle antiche capitali giapponesi). È un tempio Monzeki (tempio gestito dai monaci buddisti provenienti da famiglia nobile o da quella imperiale), e fu modello per il tempio di Gesshu 月修寺 nell’ultima scena de “La decomposizione dell’angelo”, quarto capitolo de “Il mare della fertilità”. Facendo la lunga salita fino al portale del tempio, mi meravigliai molto di quanto precisa e dettagliata fosse la descrizione fatta da Mishima. Attraverso gli occhi di Shigekuni HONDA 本多繁邦 – amico di Kiyoaki MATSUGAE e testimone della storia – viene descritto il vialetto alberato, via via che egli procede verso il portale del tempio.  

La scena contiene il seguente passaggio:

Giunse a una palude. Si riposò sotto il verde intenso di un castagno che si ergeva sulla riva dell’acqua. Non soffiava un alito di vento. Un pino morto giaceva come un ponte in un angolo dell’acquitrino giallo-verde, sulla cui superficie luccicavano leggere increspature che disturbavano il riflesso azzurro cupo del cielo. L’albero morto era di un rosso bruno fino alla punta degli aghi. Sostenuto dai rami sul fondo dell’acquitrino, il tronco emergeva in superficie, rosso ruggine in un mare di verde, la sua forma originaria ancora intatta. Continuava, senza alcun dubbio, a essere ancora un pino.

Yukio Mishima (“La decomposizione dell’angelo”, MISHIMA ROMANZI E RACCONTI Volume secondo  Mondadori, 2006, Traduzione di Emanuele Ciccarella, p.1738)

Anch’io notai quest’acquitrino. E naturalmente vi giaceva un pino morto! Non posso non pensare che, attraverso una descrizione tanto dettagliata, Mishima stesse suggerendoci il personaggio di Kiyoaki MATSUGAE. In un angolo dell’acquitrino il pino con i suoi rami sembrava simboleggiare le conseguenze della ‘reincarnazione’ di Kiyoaki MATSUGAE. 

Ad ogni modo, è la rosa che assume una posizione di spicco nell’immaginario botanico di Mishima. Esiste una teoria secondo cui la rosa provenga da Oriente ed è a partire da “Kokin Wakashu 古今和歌集 (prima antologia imperiale di poesie degli inizi del X sec.), che fa ingresso nella Letteratura Giapponese la dicitura di rosa, così come nell’arte pittorica avviene con il dipinto “Bara Shokinzu 薔薇小禽図 (Rose ed un uccellino, 1760 circa)” a firma del pittore giapponese del XVIII sec. Jakuchu ITO. Quanto però al momento storico in cui la rosa abbia conquistato il suo posto privilegiato nella fantasia giapponese, ciò deve essere avvenuto in tempi moderni. A tal proposito, Inazo NITOBE 新渡戸稲造 (educatore, agronomo e vice Segretario Generale alla Società delle Nazioni) nel libro “Bushido 武士道”, che scrisse durante il soggiorno negli Stati Uniti del 1899, definì la rosa come rappresentazione dell’Occidente ed i fiori di ciliegio come rappresentazione del Giappone. Il confronto Occidente-Giappone prende così forma, esteticamente ed eticamente, con le immagini della rosa e dei fiori di ciliegio. Pertanto è possibile ricostruire con esattezza la genesi di questa sorta di “mania per la rosa” nella storia della Letteratura Giapponese, senza però dimenticarne la sua matrice moderna.

Troviamo che l’attaccamento di Mishima alla rosa sia particolare, soprattutto poiché per lui la rosa è usata in qualità di metafora o di simbolo del corpo umano. In “Estratto del diario filosofico di un omicida seriale del Medioevo 中世に於ける一殺人常習者の遺せる哲学的日記の抜粋 (1944)” la rosa compare vividamente. In un capitolo di “Uccidere la prostituta Shino 遊女紫野を殺害” è scritto che la lama di questo ‘assassino’ ‘invece di entrare dentro’, ‘usciva dentro’ di lei. È l’espressione ‘uscire dentro’ a compromettere il semplice dualismo tra dentro e fuori. Poi, subito dopo, segue la frase ‘fiorire una rosa è la grande consolazione della reincarnazione’. La rosa come metafora del corpo si unisce al concetto di reincarnazione. Un quarto di secolo dopo questa simbiosi concettuale, essa ritorna prepotentemente in scena ne “Il tempio dell’alba”, terzo capitolo de “Il mare della fertilità”, ma permettetemi ora di citare il sorprendente passaggio in cui la rosa assurge a metafora del corpo. È ne “Il Padiglione d’oro”, quando il protagonista vede su una barella un operaio con gli intestini interamente fuoriusciti a seguito di un’incursione aerea americana, e racconta così:

Parte interna e parte esterna: e se si guardassero gli uomini come si guardano, per esempio, le rose, senza interno né esterno? Perché dovrebbe sembrare inumano? Se gli uomini riuscissero a muovere l’interno dell’anima e del corpo, lievemente, come la rosa muove i petali, e rovesciandolo riuscissero ad esporlo alla luce del sole e alla brezza di maggio…

Yukio Mishima (“Il Padiglione d’oro”, MISHIMA ROMANZI E RACCONTI Volume primo  Mondadori, 2004, Traduzione di Mario Teti, p.918)

Questo passaggio da “Il Padiglione d’oro” è una trasfigurazione straordinaria dell’espressione ‘uscire dentro’. La fantasia botanica, ossia la flora di Yukio Mishima, è delicatamente legata al corpo umano inteso come esistenza animale (la fauna). Soprattutto se consideriamo il suo fisico muscoloso, potrebbe comunque destare qualche perplessità parlare di ‘Flora’. Eppure, il libro fotografico pubblicato prima del suicidio e che ritrae il suo corpo attraverso gli scatti del fotografo Eiko HOSOE 細江英公, ha come titolo “Barakeii 薔薇刑”, ossia “La pena della rosa”. Fino alla morte seguitò dunque ad insistere sulla rosa, al punto che io penso si possa affermare che ‘parlare di Yukio Mishima equivale a parlare della sua rosa’. “Barocchismo della rosa”, vorrei chiamare questa teoria su Mishima.


Atsushi Tanigawa (1948) è filosofo estetico e critico d’arte. Specializzatosi all’Università di Tokyo, è stato professore presso il dipartimento di filosofia, facoltà di letteratura, dell’Università di Kokugakuin a Tokyo. Scrive saggi, organizza mostre, compone spettacoli di danza contemporanea giapponese. La traduzione del suo testo è di Kyoko Mino e di Alessandro Staderini Busà

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