OGGETTO: Fine della Nazione
DATA: 11 Febbraio 2024
SEZIONE: Società
FORMATO: Scenari
AREA: Europa
La capacità del Politico di programmare e pre-vedere è strettamente legata ad una continua negazione e frammentazione della realtà nella sua interezza, nel suo presentarsi universalmente immanente, inevitabile. Ma alcune narrazioni, come quella relativa all'idea di nazione, hanno ormai senso d'esistere solo in quanto strumento retorico. Un'ulteriore dimostrazione di come il politico si mostri solo nella frattura del suo spazio particolare, non nell'incarnazione di una natura umana astratta.
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La traiettoria di un governo è sempre di difficile interpretazione, tutt’al più nei momenti, come l’attuale, in cui sono le crisi contingenti (o le lunghe onde mediatiche) a stabilire l’agenda e le priorità. Le intenzioni, i programmi, le riforme scivolano, si nascondono nel brusio quotidiano, svicolano nel sottomondo della Rete globale e silenziosamente implodono nelle correnti di affari quotidiani. 

In questo senso risulta complicato analizzare l’azione di un governo al di là della amministrazione, anche quando si tratta di materie sistemiche, come il Piano Mattei. Senza dubbio un piano di ampio respiro e ambizioso come in molti anni è mancato, che mostra però nella mancanza di una sezione “securitaria” il suo limite più grande, ovvero l’assenza di realismo. In niente il Piano Mattei eccede da una misura e dimensione puramente tecno-economica, e perciò non ha nulla di esistenziale, di realmente sistemico. Non è sostenuto e proiettato nel Futuro da alcuna idea politica, perlomeno particolare, capace di generare partecipazione alle grandi sfide del Paese. Nessuna idea capace di ergersi oltre la contingenza, e dunque sviscerarla, spiegarla in funzione di un Futuro capace di trascendere. 

Che cosa si attende l’Italia dalla rinascita del Continente Africano? L’orizzonte politico e di aspirazione ideale, può essere il raggiungimento del record di interscambi economici? Su cosa fondare suddetto obbiettivo, su che pensiero, su che terreno comune.

In questa prospettiva si mostra tutta l’intrascendibilità del mondo contemporaneo, l’incapacità di pensare e realizzare una alternativa alla sua stessa immanenza, che non siano perlomeno aggiustamenti tecnici alla grande macchina della modernità occidentale.

La capacità del Politico di programmare e pre-vedere è strettamente legata così ad una continua  negazione e frammentazione della realtà nella sua interezza, nel suo presentarsi universalmente immanente, inevitabile. Una negazione che è sopratutto definizione in uno spazio preciso del proprio essere. Nessuna idea politica può nascere già universale, poiché essa nasce da una scissione dello stesso, sebbene ogni idea politica moderna abbia come orizzonte l’Universale.

In questo senso la virata a destra della maggior parte dei paesi europei, Italia compresa, non ha provocato effetti radicali dal punto di vista del generale collocamento interno ed internazionale, come in molti temevano. Al di là di un tema prettamente realista che si pone per ogni uomo di Stato occidentale (od europeo) quando si districa tra i diversi rapporti di forza che sussistono a livello internazionale, cosa che Giorgia Meloni in questo anno di governo ha dimostrato di saper fare, si pone una questione ulteriore. L’avanzata dei partiti identitari e conservatori in Europa, che a meno di rivolgimenti le europee confermeranno, si può leggere da una parte certamente con le lenti del progressivo indebolimento della pax americana e delle sue promesse, dall’altra però a suddetto indebolimento non corrisponde un cambio di paradigma politico, economico, sociale nel rapporto tra le due sponde dell’Atlantico.

Ciò che questi movimenti e partiti mostrano è invece la necessità angosciante di un criterio d’ordinamento nella anarchia montante del mondo. Un criterio che tenga in essere la struttura, che sia dunque conservatore nel suo significato più letterale.  

Alla rinnovata centralità nel dibattito pubblico di tematiche nazionali dunque non possono corrispondere per forza di cose, ovvero in forza della Storia, derive nazionalistiche e autarchiche di sapore novecentesco. Poichè è lo stesso concetto di Nazione ad aver perso in due guerre la sua essenza radicale, prettamente politica e di potenza, ovvero la natura negativa a cui si può ricondurre qualsiasi idea politica e che nel concreto del tempo poneva in essere gerarchie etniche “naturalmente” stabilite tra i popoli. In ciò si puo notare anche la modernità della Nazione e dei nazionalismi, poiché essi potevano incarnare e giustificare i diversi rapporti di forza solo alla luce di un disfacimento progressivo del “Dio mondano” statale. Solo grazie all’evento secolare di una migrazione della sacralità immanente del potere (la sua trascendenza) dai monarchi alle grandi masse popolari. 

La sovranità moderna era, ed è, del popolo, poichè fonte prima e ultima della legge, e questo a prescindere dalle forme autoritarie o democratiche che la sovranità stessa può assumere. Il popolo inteso nella sua interezza è nei fatti l’incarnazione mondana, dunque intrascendibile, della sostanza divina, sia declinata in termini universalistici (dunque democratici) sia esclusivi (dunque autoritari).

Se il nazionalismo era pura potenza, il deflagramento della Storia (e per molti, tra cui Kojeve, l’anticipo della sua fine), la Nazione è così oggi istanza di un potere puramente catecontico (che, come si è già visto, non è molto diverso da quello dell’Unione Europea). E questo poiché i caratteri nazionali, dunque democratici, essendo già in sé validi, ovvero rappresentando già l’Universale sono privi di potenza politica. L’immanenza non può trascendersi, non può muoversi in nessuna direzione perchè essa non ha altra misura che sé stessa, essa può solo essere conservata e preservata in confini stabiliti dalla comune natura umana. 

Il confine statale rimanda sempre così ad altre sovranità popolari in sé piene e perfette. Naturali perchè incarnate visceralmente dalle masse nazionali, da quella sostanza universale umana che si declina, nell’intramezzo di questo tempo, in Stati nazionali. 

Lo Stato è dunque perfettamente sovrapponibile alla carne umana, e dunque ad una sua violazione corrisponde una fattispecie criminale, così come avviene tra privati (una sorta di, non me ne voglia Foucault, biogeopolitica). Ogni movimento, ogni tentativo di trascendere la propria carne, i propri confini è un atto che per forza di cose lede l’altrui auto-determinazione, l’altrui natura. Questo porta ad una ulteriore considerazione.

Se si crede che l’autodeterminazione delle Nazioni sia dato di fatto naturale di tutto il mondo, o lo debba essere, in forza di cosa una collettività nazionale può esistere, e non solo preservarsi? Ovvero può distinguersi, può muoversi nella Storia e nel mondo, può dirsi viva e dinamica, e dunque rappresentare il volto più vero di una Civiltà? Se le premesse della Nazione (e quelle della democrazia), l’intrinseca bontà della Natura (umana) sono già rappresentate nella divisione tra Stati nazionali, ora, in questo preciso momento storico che dura fin dal 1991, che cosa si può attribuire di specifico (in altre parole di “negativo” per come lo abbiamo inteso) alla propria Nazione umana? Essa sarà esattamente uguale a quella contenuta in qualsiasi altro Stato della Terra. In niente in fondo può dirsi migliore o radicalmente diversa poiché la Natura umana è eguale ovunque, così come l’ordine delle cose politiche si stabilisce da sé nel momento in cui è presente una Nazione. 

In questo senso si può notare anche la stretta similitudine che sussiste tra la teoria del mercato in equilibrio (inteso dal liberalismo quale ordine naturale della società) e la Natura, financo nazionale. 

Lo Stato così, nello stesso momento che acquista naturalità, perde ogni carattere negativo, dunque politico, finendo in una generale indeterminatezza (per cui si crede possa esistere anche quando nella realtà storico-concreta non è presente) o trasformandosi in un mero erogatore di prestazioni e servizi a cui basti, nel caso, cambiare il vertice politico o indire “libere elezioni” (come quelle ad esempio che si devono tenere in Libia ormai da anni, quasi che bastasse un voto democratico per riordinare naturalmente lo stato di un Paese).

In un orizzonte siffatto appare chiaro come in ultima istanza la sostanza umana nazionale sia puro artificio: se la Nazione non può essere in fondo particolare, non può essere identificabile solo e soltanto in uno spazio preciso, ma rispecchia un certo dato umano-culturale presente universalmente (poiché manifesto a priori nella forma statale), allora non si capisce come possa esistere a livello collettivo, a livello di una grande massa che sia più grande dell’individuo ma più piccola dell’umanità. Scomparendo una simile misura la Nazione e la sovranità popolare si legano ad un contesto di individualità atomizzate assolutamente incapaci di trascendersi che, per mantenersi, abbisognano dell’artificio nazionale. Un artificio che incarnandosi nell’uomo maschera la sua natura con la Natura, e dunque con l’individuo stesso. La Nazione, e qualsiasi sua declinazione politica, è oggi la cifra del nichilismo contemporaneo poiché nasconde la politica con una Natura che è e rimane comunque indifferenziata, giacchè pienamente globale. Asserendo a tutti agli Stati la legittimità di una valenza nazionale, semplicemente così la si nega. 

La Nazione intesa democraticamente, perciò intesa come principio, è inscindibile in questo modo da un orizzonte universale, essa di fatto non può “conservarsi” efficacemente se non a livello internazionale (e dunque, a livello pratico, se non stabilendo come acquisizioni illegali ogni mutamento dei confini). E’ anche in questa prospettiva che le sorti di Paesi lontani in verità sono legate a doppio filo a quella italiana od europea, giacchè essa non può fondarsi su di una realtà concreta, almeno non in termini politici (dunque esclusivi), ma solo su principi generali di carattere universale.

Perciò almeno in Europa la Nazione ha significato d’esistere solo in quanto strumento retorico, o come istanza conservativa del sistema internazionale la cui politicità residua si esaurisce sempre nella sua auto-trascendenza. È un termine incapace di prevedere, di creare ordine, di dare un senso all’arena internazionale anche perché storicamente la legittimità dello Stato non discende dal suo rappresentare un certo grado di naturalità, ma dalla capacità di ordinare e trattenere l’anarchia. Lo Stato è forma indissolubilmente legata, in modo quasi simbiotico (o catecontico) al concetto di anarchia. Non ha in sé premesse naturali e anzi le si oppone poiché si rappresenta(va), almeno da Hobbes in poi, come artificio. È la confusione tra i due termini invero a produrre anarchia.

Roma, Ottobre 2023. XI Martedì di Dissipatio

Compreso questo bisogna trarne, almeno in Europa, le dovute conseguenze, ben tenendo ferma in ogni caso la realtà delle cose: ad oggi la legittimità (trascendenza) del potere si inscrive fino a sovrapporsi con la sostanza umana (benchè atomizzata) ordinata naturalmente (e democraticamente). 

A questo proposito essa, nelle sue numerose declinazioni, è immanenza a-politica se si segue quanto si è scritto. I caratteri nazionali sono propri di qualsiasi popolo e prescindono da uno spazio definito, tant’è vero che si pretende di creare uno Stato palestinese solamente nominandolo, riconoscendolo (ignorando d’altra parte ogni premessa storico-politica, oltrechè la realtà sul campo). L’Uomo si dissolve nella Natura, nella sua immobilità assoluta, nella sua tensione al nulla, al suo non-essere che è in fondo auto-determinazione massima. L’uomo è così oggetto e fonte della legittimazione politica in un modo tanto immanente da essere a-politico, e dunque esponendosi ad ogni tipo di misura coercitiva, come si mostra sempre nella guerra che Israele sta conducendo contro Hamas.

Ciò che è politico invece, ciò che è sovrano, può essere concreto, effettivo, solo nella negazione, nella scissione dell’immanenza, la cui pre-condizione non può che essere una scissione tra etica e politica, come fu all’origine della formazione dello Stato. 

Lo spazio di questa scissione è la sua concreta possibilità, una apertura ad un suo essere e ad un Oltre (una sorta di “appeal to heaven” rovesciato) che è insita solo e solamente in uno spazio umano determinato e preciso, dunque al di quà delle guerre statali contemporanee. Il politico perciò si mostra solo nella frattura del suo spazio particolare, non nell’incarnazione di una natura umana astratta, non nelle guerre moderne, non nello Stato nazionale o multietnico, poiché tutti questi termini rimandano in fondo alla universalità, all’Uno, e dunque al proprio non-essere.

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