Il pensiero filosofico italiano è vivo e vegeto. Connesso ad una più generale riscoperta e valorizzazione della filosofia, come materia in grado di fornire delle chiavi di letture imprescindibili a districarsi nella contemporaneità, oggi è divenuto oggetto di sempre più approfonditi studi il cosiddetto Italian thought. Particolarmente apprezzato oltreoceano e in particolare negli Stati Uniti, il pensiero italiano, lungi dall’essere un semplice calderone di grandi classici, appare all’altezza di confrontarsi con le sfide di una società complessa. Alle dicotomie e alle facili ed esaltanti prospettive di progresso indiscriminato, la filosofia italiana ha sempre opposto pragmatismo e operatività. È questa la chiave di lettura entro cui prende corpo il recente lavoro di Corrado Claverini La tradizione filosofica italiana. Quattro paradigmi interpretativi (edito da Quodlibet). La filosofia italiana è filosofia politica per eccellenza, sviluppatasi in seno ai rapporti di forza, già complessi, del secolare particolarismo del Bel Paese, fonte di indebolimento rispetto alle grandi monarchie europee, ma in grado di favorire la maturazione, tra le pieghe del municipalismo e del campanilismo di una vera e propria “via italiana” all’etica civile. È così che, attraverso quattro differenti letture, di quattro grandi intellettuali e storici della filosofia dell’Italia unitaria (Spaventa, Gentile, Garin, Esposito), scorre il fil rouge del pensiero italiano. Quest’ultimo sembra sgorgare dalla stessa conformazione territoriale italiana. Parlando della filosofia del Rinascimento, il filosofo marxista Ernst Bloch descrisse negli anni ’50 il territorio della penisola come:
«Il regno della luce solare e del cielo azzurro, dove perfino la pioggia invece di scrosciare batte argentina sulle foglie delle piante meridionali, dure e lucide per difendersi dalla siccità».
Da un simile contesto climatico dovevano dunque prendere corpo figure “eroiche” come Tommaso Campanella e Giordano Bruno. La natura viene indagata come soggetto in grado di autodeterminarsi, come in Telesio e viene elogiata la vita attiva nell’Umanesimo civile di un Coluccio Salutati. In confronto, il Rinascimento tedesco è quello dell’ «umidità, la nebbia le nubi». Rinascimento del crepuscolo e del sentimento che preferisce il calore interno all’ambiente cittadino. Lungi dal descrivere in senso meramente deterministico la filosofia italiana come una conseguenza del clima e dell’ambiente, Claverini si sofferma piuttosto sull’incidenza che un contesto storico e geografico determina sul pensiero filosofico. Frutto di un contesto definito e non limitabile a questo contesto, il pensiero italiano emerge come pensiero civile e d’azione in grado di influenzare il pensiero europeo. Così Bertrando Spaventa, nel primo dei paradigmi interpretativi, intuisce che nella filosofia italiana giaccia una sorta di «ingegno precursore», attribuendo inoltre alla stessa filosofia un ruolo di primo piano nella costruzione del nuovo stato unitario:
«Se la filosofia non è vana esercitazione dell’intelletto, ma quella forma reale della vita umana, nella quale si compendiano e trovano il loro vero significato tutti i momenti anteriori dello spirito, è cosa naturale che un popolo libero si riconosca e abbia la vera coscienza di se stesso anche ne’ suoi filosofi».
Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca l’altro grande interprete della storia della filosofia italiana: Giovanni Gentile. Come per Spaventa, Gentile evidenzia la concretezza del pensiero italiano, pensiero investito totalmente nella vita storica e nella politica. La filosofia in Italia risulta connessa con una critica al potere costituito e da proposte di rinnovamento che da Dante, a Machiavelli, passando per Bruno, Galilei e Campanella, ha messo al centro l’umano e la sua dignità. Lo stesso può dirsi dell’altro grande filosofo italiano, Vico, il quale raccoglie l’eredità rinascimentale conducendola ad una nuova e altissima interpretazione della storia:
«È vero che Vico anticipa “le più valide conquiste dell’avvenire”, ma è anche vero che raccoglie “la più ricca eredità del passato” ricollegandosi alla tradizione neoplatonica del Rinascimento italiano».
Il passato, come in Spaventa, rappresenta non un museo di grandi pensatori, ma una tradizione vitale da convogliare verso un nuovo avvenire di rinnovamento spirituale e nazionale. La filosofia italiana è espressione, in Gentile, di uomini completi, sintesi di scienza, fede e pragmatismo politico. Spaventa e Gentile appartengono tuttavia ad una fase storicamente contraddistinta da una crescente attenzione all’educazione nazionale. Residuo di questa fase e terzo paradigma, è l’interpretazione di Eugenio Garin. Emergono ancora una volta le istanze di una filosofia civile:
«Da una parte, avremo “quasi sempre” una filosofia “dell’uomo e delle sue attività”, un pensiero mondano e terreno; dall’altra, una tradizione policromatica, la cui varietà emerge già dagli albori umanistico-rinascimentali: si va da una filosofia attenta a questioni civili, morali ed estetiche ad una in cui prevale l’indagine logica e fisica ad un’altra in cui l’istanza religiosa è predominante».
Il genius italicum del filosofare è dettato da una crescente inquietudine. L’agire è anche sogno, illusione, utopia, come risposte al “buio” nel quale l’uomo è sommerso. Le istanze di rinnovamento di Machiavelli e l’utopia di Campanella, si trovano così a condividere le stesse esigenze e aspirazioni di Leopardi o Giuseppe Rensi. E a questo si associa quel “complesso di inferiorità”, connaturato in Claverini all’auto-percezione del pensiero italiana, concepito in una posizione di inferiorità rispetto alla “cultura altrui”. Non è un caso che di pensiero italiano si sia iniziato a parlare con maggiore intensità all’estero che in Italia. Nelle letture anglosassoni, sottolineate nell’ultimo paradigma, trattasi di un pensiero politico significativo e storicamente influente: già gli illuministi italiani, Beccaria e Filangieri su tutti, furono decisivi nella storia degli Stati Uniti. L’illuminista italiano Filippo Mazzei fu amico intimo del futuro presidente Jefferson. Il diffuso bisogno di concretezza, sottolinea ancora Claverini, è oggi il motivo del successo non solo accademico del pensiero italiano che stona con la sopravvalutazione e l’esterofilia nostrane. Citando Gramsci, è questa la
«Corrente generale degli “intellettuali” italiani “moralizzatori” che era portata a ritenere che all’ “estero” la gente era più “intelligente”».
Che un pensiero filosofico possa essere oggi operativo in questi termini, emerge dal pragmatismo di fondo, declinato in termini economici nella costante e spesso inspiegabile vitalità della piccola imprenditoria italiana in grado di rispondere e rinnovarsi, fatta di cultura diffusa, di saperi e di qualità. Così come emerge dalle parole di Antonio Calabrò per Il Sole24ore:
«Paese complesso, dunque, l’Italia. Irriducibile a un semplice paradigma di area critica e di mancato sviluppo».
Oppure, come si evince dalla diplomazia conciliante, che nei decenni della Guerra Fredda ha accompagnato e reso l’Italia, in seno all’Alleanza Atlantica, un vero ponte tra l’Occidente atlantista e il blocco sovietico e tra l’Europa e il Mediterraneo arabo. Viene da chiedersi se questo ruolo sia venuto meno, in nome di una più ampia tendenza all’omologazione filosofica, culturale e ora anche politica. Concepire una filosofia italiana non può avere dunque un mero compito specialistico. Lungi da ciò, Claverini invita ad una riscoperta della varietà culturale insita ad ogni filosofia, veicolo imprescindibile per avviare un vero dialogo tra le nazioni, giacché la crisi d’identità europea e il nichilismo occidentale si manifestano «in una forma drammatica di asimbolìa, per cui tutto, indifferentemente, aspira ad essere ricondotto sul piano di un’oggettività aprospettica».
Vivo e vegeto, dunque, quello italiano è un pensiero sgorgato dalle divisioni e dalle differenze particolaristiche italiane, abituato alla convivenza, alla diplomazia e all’esaltazione delle virtù civiche. Un modello di convivenza e di adattamento, ma anche di una vitalità mai doma. E se di un’Italia “europea” si dovrà pure parlare, per citare ancora la lezione gariniana in Michele Ciliberto:
«L’Italia, se vuole continuare a svolgere un ruolo di primo piano nella prospettiva della costruzione di una nuova identità culturale e ideale europea, deve saper proporre con massima energia i caratteri originari della propria storia, senza dispenderli in una generica e indifferenziata “unità” europea».