Il mese di giugno è stato molto caldo in Francia, e non per il clima. La diplomazia dell’Eliseo ha riesumato la linea del corteggiamento nei confronti del Cremlino, segnalando a Vladimir Putin che i sogni eurasiatici di Emmanuel Macron sono tutt’altro che sepolti. Tutto è iniziato con un’intervista del quotidiano Le Telegramme al ministro degli esteri francese, Jean-Yves Le Drian, che è stata ripresa dall’agenzia di stampa russa, TASS. Il capo della diplomazia dell’Eliseo era stato breve ma conciso:
Se l’Europa vuole essere una forza dal volto umano al servizio della globalizzazione, deve scegliere un percorso che difenda in maniera ferma gli interessi [continentali] e sia aperto al vero dialogo multilaterale […] Non è nel nostro interesse che la Russia si allontani da noi.
Jean-Yves Le Drian
Pochi giorni dopo, i media russi e francesi informavano che le due diplomazie erano a lavoro per organizzare una visita di Macron a Mosca nei prossimi mesi. Altri due eventi di un certo spessore sono accaduti il 19 ed il 26, ovvero: ogni settimana, un segno di disgelo.
Il 19, Christian Cambon, presidente del Comitato del Senato Francese per gli Affari Esteri, la Difesa e le Forze Armate, ha dichiarato che “Francia e Russia potrebbero essere le forze trainanti di un nuovo dialogo sul controllo degli armamenti”, nella consapevolezza che “stiamo assistendo alla distruzione del sistema sul controllo degli armamenti e al rigetto dei trattati”. Il 26, invece, Macron e Putin hanno tenuto un incontro virtuale per discutere di una serie di agende, fra le quali Ucraina, Libia e Iran. Secondo il presidente francese il focus è stato posto su Kiev ma non è da sottovalutare l’ipotesi che, in realtà, la videochiamata sia stata organizzata per coordinare gli sforzi a Tripoli, dove i due paesi hanno un rivale in comune: Ankara. Il video-incontro si è concluso egregiamente: Macron è stato ufficialmente invitato al Cremlino.
A questo punto, per capire le intenzioni dell’inquilino dell’Eliseo, è necessario porsi alcune domande: Qual è il ruolo di Mosca nell’agenda estera di Parigi? Perché Macron, periodicamente, riesuma le massime eurasiatiche di gollista memoria? Perché proprio la Russia? Sono stati lo scontro sotterraneo con gli Stati Uniti e il clima internazionale sempre più teso ed opprimente a spingere il presidente francese Emmanuel Macron a riesumare alcune ambizioni golliste, fra cui il sogno di un’Europa estesa da “Lisbona a Vladivostok” e l’emancipazione del Vecchio Continente dall’allineamento con Washington, che viene vissuto ed interpretato come una sottomissione cieca, ingiusta ed antipatica. Il nuovo corso di politica estera della presidenza Macron è riassumibile in alcuni eventi-chiave: patto di Aquisgrana con la Germania, attivismo in sede europea per concretizzare le proposte riformiste lanciate dall’Eliseo su economia e difesa (fra cui l’esercito europeo), ritorno ad Est.
Questo punto è sicuramente il più attuale ed è anche l’unico realmente capace di essere un potenziale “fattore game-changing”, ossia un fattore che cambi gli equilibri esistenti ponendo le basi per un nuovo ordine. Quest’ordine, però, è irrealizzabile fintanto che Macron continuerà ad alternare lungimiranza strategica nel campo delle idee alla codardia pratica nel campo dell’azione. Infatti, nonostante gli ottimi propositi, il regime sanzionatorio antirusso è ancora in essere, la Francia continua ad appoggiare l’agenda estera di Washington su una serie di teatri con la quale è in disaccordo, ed il clima generale che si respira nell’Ue è intriso di russofobia maccartista, proprio come negli Stati Uniti. Il vertice di Parigi dello scorso dicembre è stato un segnale d’apertura importante, ma non l’evento spartiacque che molti analisti politici avevano prospettato. Macron ne era uscito, comunque, da vero vincitore, avendo dimostrato di possedere quei carisma e persuasione diplomatica mancanti ad altri capi di Stato europei, fra cui alla stessa Angela Merkel. Non la Germania, ma la Francia si sta appresta a salire sul trono di potenza-guida del Vecchio Continente, forte di un arsenale nucleare e di una visione nazionale proiettata al futuro elaborata direttamente dallo stesso Macron.
In questa visione, l’Europa a tradizione franco-tedesca recupera lo storico ruolo di ponte fra civiltà, gli Stati Uniti vengono degradati da alleato a collaboratore-concorrente, e Russia e Cina cessano di essere considerate dei “nemici”. È stato lo stesso Macron a ribadire, più volte, questi punti, attirandosi le ire dei paesi membri della Nato e le minacce di guerra commerciale da parte di Trump. La strategia eurasiatica dell’Eliseo è, ovviamente, pensata e modellata per avere le più ampie ricadute possibili, in termini di benefici, alla Francia, ma è comunque inevitabile che plasmi profondamente anche il resto d’Europa. La Francia, quindi, può e deve, ma è costretta in una trappola, ossia “fra realpolitik e realtà”. La realpolitik suggerisce a Macron di lavorare per rendere l’Ue autonoma dagli Stati Uniti a 360 gradi, perché si tratta di un’alleanza onerosa, obsoleta e che spesso lavora contro gli interessi nazionali dei paesi europei, di porre fine ad ogni battaglia egemonica con Russia e Cina, perché è antieconomico scegliere di averle come rivali, e di riformare l’Ue per evitare che si realizzino i sogni di una parte del complesso militare-industriale americano di una sua dissoluzione o di una sua polverizzazione apolare e, quindi, anarcoide. La realtà impedisce a Macron di rendere l’Ue autonoma per via dell’ostilità costante di tutti quei paesi che sono delle vere e proprie quinte colonne di Washington nel cuore d’Europa, fra cui Polonia e Baltici, della diffidenza tedesca di condividere pienamente lo scettro del potere con l’Eliseo, e della nolontà di formare un esercito europeo perché più comodo vivere sulla rendita di posizione garantita dall’ombrello militare statunitense. Tutto ciò accade sullo sfondo del timore di Macron, fondato e giustificato, di una guerra economica lanciata da Washington che potrebbe affondare non solo Parigi, ma l’Europa intera.
Il risultato di questa condizione è che la linea aperturista verso la Russia è stata, sì, inaugurata, ma solo timidamente, e in modo tale da non condurre ad alcun disgelo nel breve periodo. I progetti di autonomia europea sembrano già essere stati accantonati, anche perché sono irrealizzabili senza l’unanimità, e l’Europa resta saldamente ancorata nella sfera d’influenza statunitense, nonostante il malcontento montante, appoggiando in toto e subendo i danni principali dello scontro egemonico contro l’asse Mosca-Pechino. Se Macron riuscirà a convincere la Merkel della necessità di forgiare un partenariato franco-tedesco completamente onesto e multidimensionale, impegnato tanto nella gestione dell’Ue che nella difesa di interessi comuni nell’arena internazionale, ogni passo ulteriore risulterà estremamente più semplice. Sir Halford Mackinder temeva soltanto un’alleanza tedesco-russa, Zbigniew Brzezinski ed Henry Kissinger neanche prendevano in considerazione l’idea di un’Europa nuovamente indipendente nel futuro, ma la verità è che l’Ue ha, e avrà ancora per molto tempo, tutte le risorse necessarie per tentare di smarcarsi da Washington e seguire un’agenda di potere che la porti ad essere un giocatore di primo rilievo nel mondo, facendole riconquistare il posto che le spetta.
Si ringrazia la redazione di Vision and Global Trends per la gentile concessione dell’articolo.