Troppo veloce la mattina il tempo della colazione – notoriamente il pasto più importante – per goderci appieno le prime luci della giornata, il primo saluto del Sole che nonostante tutto è ancora lì a proteggerci e ristorarci. Troppo repentina la strada da casa al lavoro, anche solo per allietarci con una sana e rinnovatrice canzone di Franco Battiato; troppo rapido a volte il tempo del lavoro, dove guardare a noi stessi per raggiungere l’obiettivo ci rende talvolta ciechi di ciò che ci capita intorno.
L’elenco potrebbe continuare, e forse questo è l’aspetto più inquietante.
Tastando il polso della realtà che ci circonda, non si può non constatare quanta fretta e quanta corsa ci sottraggono ogni giorno tanti piccoli piaceri della vita. La società liberale e consumista, globalizzata senza remore e figlia di un neoliberismo economico e finanziario che ha abbracciato in pieno il motto mors tua vita mea, ci incita verso modelli di sviluppo e stili di vita efficienti, rapidi, pratici, competitivi, quasi sempre apparentemente perfetti. Bisogna essere perfetti nelle foto – le quali devono essere sempre ogni volta in modo massivo postate altrimenti … – bisogna puntare sempre spediti al profitto, al risultato finale, al singolo dato statistico da appendere come una medaglia ben lustrata alla nostra divisa di tutti i giorni. E ancora: bisogna formarci sempre, costantemente, certificarsi senza un vero perché ma solo per mostrare di avere qualcosa in più del prossimo, imparare a memoria al posto di studiare, evitare di studiare perché ad ogni modo le informazioni che cerco qualche apparecchio digitale in pochi momenti è in grado di fornirmele.
In tutto questo, che fine ha fatto il fermarci? Il riflettere? Il fermarci a riflettere?
L’uomo contemporaneo – senza generalizzare ma in maggioranza – fa della dimensione del hic et nunc, del qui e adesso, del tutto e subito, la sua ragione d’essere, dimenticando tutto ciò che d’importante e veramente fondante esiste nella nostra variegata vita: i legami, i sentimenti, gli ideali, la morale, la filosofia, il sacro e la religione, l’impegno civico e pubblico, il coraggio e l’onestà, la voglia di portare avanti le proprie battaglie qualsiasi sia la posta in palio.A tutto ciò una concreta e operativa risposta è quella che riguarda la riscoperta della lentezza. Ad un mondo che ci vuole tonici e tattici, rispondiamo con pacatezza e lentezza, che non significano necessariamente poca efficienza e scarsa attitudine ad una collaborazione.
Grazie alla lentezza si cambia il paradigma: non più il risultato per il percorso, ma il il percorso per il risultato; in moltissimi casi, si arriva comunque alla fine di progetti comuni che ci vedono coinvolti, solamente ci si arriva meglio, più lenti, più rilassati, più soddisfatti. Il pregiudizio che capacità e velocità vadano inevitabilmente a braccetto è appunto un pregiudizio; si possono ottenere analoghi esiti importanti perseguendo i nostri impegni con tutta calma. È una questione di mentalità, alla quale il più delle volte non siamo esposti, vuoi perché più difficile concettualmente da carpire vuoi perché mediaticamente tali discorsi pagano molto poco: figli di una società ultra-competitiva, di monadi individuali che vogliono solo arrivare in vetta prima degli altri, proporre un gioco lento risulta controproducente, dal momento che poi PIL e dividendi non si gonfiano a dovere – e guai se poi, per qualche strano motivo, l’economia non riparte.
Ecco perché riflettere e trovare un corretto equilibrio della nostra dimensione interiore risulta estremamente difficile: tutto ciò che richiede tempo e pazienza viene visto come obsoleto, come retrogrado, come contrario a sempre più veloci e affinati linguaggi informatici, mediatici e di programmazione che soli sono in grado di stabilire le nostre priorità. Sforzare di far fruttare il nostro tempo è diventata un’impresa: leggere, scrivere, aiutare gli altri, approfondire, pregare, gustarsi un pasto, godersi la bellezza di un paesaggio o di un’opera d’arte, fare attività sportiva o dedicarsi a qualsiasi genere di attività che ci crea divertimento ci pone molte volte nell’ardua scelta fra farlo bene e farlo sic et simpliciter, due modi d’essere profondamente diversi.
Per riscoprire il sale della nostra esistenza, e riavere indietro tutto quell’autentico sapore, per avere quella sensazione di essere al centro del “sugo” della storia, così come la ha brillantemente definita Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi, riabbracciamo la lentezza, elogiandola.
Lento è il fuoco che prende vita, lento cuoce il piatto prelibato che ci piace mangiare, lente sono le serate indimenticabili dove ci si confronta e ci si conosce, lente sono tutti i momenti più importanti della vita – l’amore, la crescita, i miglioramenti, un percorso di studi, uno lavorativo nel suo complesso, una festa, un matrimonio, un battesimo, l’attesa di un figlio, l’attesa del resoconto che abbiamo per tanto tempo cercato, e via discorrendo – il contrario della velocità tutte le più irrinunciabili identità e radici dei giorni nostri del mondo dell’enogastronomia, del paesaggio, dell’artigianato, della cultura, della città e delle campagna, con i loro palazzi, i loro monumenti, le loro chiese, i loro musei e tutte le altre opere d’arte e architettoniche che ci circondano.
Infine, lenta è la natura e il moto della Terra, nostra Casa Comune. Per amarla e rispettarla ci vuole pazienza, ci vuole lentezza: ricominciamo con forza a prediligere un vecchio cassetto pieno di appunti e ricordi da sfogliare all’ennesimo contest che ci vuole tutti belli e alla moda.