Chi raggiunge l’aldilà trova posto nella barca del Sole […] e nessuno può impedirgli di rivolgersi al dio Sole
Dialogo di un uomo stanco della vita con la sua anima, XIIᵃ dinastia
Fuori è un sole ottuso. Sole che non vivifica, tarato, da colonia penale. Asfissiante, vi prosperan sotto volgarità agostane di turismo da bestiame, ore d’aria a schiavi in fregola di status quo, sibariti di “esperienze” un-tanto-al-chilo, bourgeois cochons più Bloy che Brel, bottegai officianti a rancidi incensi rito di vacuità universale.
La “chiamano estate”, “un’estate italiana”. Peggio ancora se triumphans e medagliata.
Evasione: cembali e pianoforte, fondo dei rullanti. Piatti, ritmo fratto, accelerato. Pizzicato di chitarra elettrica, ronzìo. Pausa. Entrano archi e flauto Cembalo, charleston, piatti. E già compaiono palme dune. Infine l’ensemble completo, sax tenore vertiginoso-sguaiato-sublime a là Coltrane…
Pharoah Sanders, Upper Egypt & Lower Egypt. Geniale lisergica suite.
Più un titolo di saggio letto chissà quando (Drewermann).
Casuali (?) porte d’accesso a un altro Sole, in illo tempore…
Egitto. Egitto-Sole che ha tutto compreso, che ha tenuto a balia l’umanità, “saccheggiato” dai sapienti, teriomorfa unione di animale e uomo… Egitto di Plutarco, di Rozanov o Čiurlionis, non importa.
I portali sono aperti e il Ba s’è involato, “turista” abusivo a ritroso nel tempo. S’accompagna volentieri ed unisce il suo soffio a quelli dei tanti “egittofili” d’Europa che tengon vivo il sogno (tanti se ne trovano ordinati e amorevolmente descritti in Erik Hornung, Egitto esoterico).
Senza pretese ermeneutiche, senza un principio ordinatore, con buona pace di Champollion e Lepsius (questa non è egittologia ma rêverie!) lasciamoci andare al flusso dei segni e delle fantasticherìe.
Sulla barca del sole traversando Khert-Neter verso l’Egitto, in bella compagnia: tra tutti gli escapismi non se ne trova di più belli.
“Magnifico risplendi Tu/ sull’orizzonte del cielo, tu Sole vivente/ che provochi la vita!” canta esaltato l’inno di Akhenaton. “Io venni al mondo per vedere il Sole/ e all’imbrunire/ io canterò…Io canterò del Sole/ nell’ora di morire” gli risponde eoni dopo il decadente Bal’mont.
E pure l’“alessandrino” Kuzmin giura di “adorare” il Sole, lui “pallido scrivano” non meno di “un bruno marinaio/ odorante di pesce e di salsedine”, ché il Sole davvero illumina (o brucia) ognuno.
Mircea Eliade ricorda che poche civiltà han tenuto in così alta venerazione il Sole come l’Egitto.
Sole totalizzante, accentratore e “materiale”, oppure raffinata teologia di Heliopolis, Khepri-Ra-Atum, esaltazione panica della procreazione, sgomento notturno della separazione o solenne intronizzazione sacerdotal-regale da teologia politica. Tutti i neoplatonizzanti han preferita quest’ultima. Ermetici. Campanella-Bruno. Kircher. Su su agli esoterici.
Rozanov invece se ne frega di allegorizzare il Sole che riscalda, illumina, nutre ogni fragile occhio che si apre al mondo, dall’utero alla tomba. Perché è russo anche lui, anzi lui più di tutti. (Se al genio francese prima e a quelli tedesco e britannico poi si debbono le decodifiche fedeli dei segni-reperti egizi, tuttavia il primato del sentire fino in fondo l’anima egizia spetta ai russi. Apparrà paradossale solo ai superficiali).
Ma sempre sole dalle cui lacrime originarono dèi e viventi, primo e più alto, innominabile, che si effonde sul giusto e sul reprobo, padre di Maat, proporzione, giustizia (in questa veste attrasse Simone Weil).
Alla fine chi è nel vero, dalle prime dinastìe in poi?
Noi teniamoci entrambi i corni della questione, fintanto che non passi il nostro sole avvelenato…poi forse sapremo.
Ai più avveduti teorici del post-human verrà prima o poi in mente di riconoscere all’Egitto la primogenitura sui loro teoremi? Erodoto riporta che gli egizi condividevano gli spazi comuni con gli animali, senza quasi distinguere tra i propri nati e quelli di questi ultimi, rappresentandoseli famiglia (gongola Rozanov). Senza specular troppo, ma per segni ed immagini, Egitto sa che uno è il fondamento dell’esistenza nella varietà molteplice dei fenomeni. Dall’astro alla foglia. Agli dèi.
Il toro Api, il cane, il gatto, l’ibis: nell’immediatezza concreta delle figure è la vitalità che conosce e celebra (lo sa anche Hegel).
“Il cielo è come una mammella/ Capezzoli le stelle/ Si gonfia il nome di Dio/ nel ventre di una pecora” canta il fratello segreto di Rozanov, Esenin.
Dolce terrestrità d’Egitto!
Chi spiritualizza troppo, chi neoplatonizza e tolemaizza rischia di perdersela fra simboli e sacre scienze. Però Norman Mailer è fin troppo diretto, greve (è americano). Nei racconti di Menenhetet primo resi al ka del protagonista, dèi teriomorfi, uomini, animali son raggruppati in perpetua, furibonda fottitura, con poco di sublime e tanto di scatologico, costante oscillazione di dissacrazione e omaggio (Antiche sere).
Della contiguità complice uomo -animale ci resta il rimpianto edenico di altra creazione, immediata, indistinta, con adami un po’ meno luogotenenti e un po’ più incoscienti.
Iside svelata. Ecco l’ossessione d’occidente in compendio. Iside-Natura da svelare, segreto da carpire (e magari utilizzare: la tecnica).
Plutarco fa esegesi, la vuole principio terrestre contrapposto all’igneo (Tifone/Set), Osiride principio lunare. La Terra fertile, il caldo, il Nilo. Osiride è all’origine dei Misteri al par Lei, ma lo soprvanza.
Chi è venuto dopo l’ha fatta Natura, Anima mundi, ipostasi suprema, conoscenza.
Sempre onniavvolgente, sempre pericolosa. Come ogni femminino.
Teophile Gautier la blandisce appena nel Romanzo della mummia.
L’amico Nerval, che del femminino materno insegue disperato ogni figura, s’imbarca per l’oriente. Vi cerca, non dichiarata, Iside, sintesi suprema delle sue manìe, vuol lasciarsi al spalle il “soleil noir de la mélancolie”. E si lascia dietro invece solo quel poco di lucidità rimasta.
Al solito i russi, che non sono edipici né di costituzione fragile, vanno in fondo, sublime e ridicolo congiunti.
Vladimir Solov’ev vede un’ipostasi tra Dio trino e mondo. Gnosticheggiando un poco, la chiama Sophia. Per tre volte lo chiama, tre volte la incontra. 1875: appuntamento in Egitto.
E il barbuto corpulento dagli occhi cherubici, infracchettato e con tubino, calice di champagne alla mano, trepidante attende, sotto un caldo assassino, che si manifesti Lei. Iside, Sophia? O son la stessa cosa? Intanto il velo d’Iside non si solleva. Novalis non finisce I discepoli di Sais.
E le Isidi svelate delle varie esoterìe son paraphernalia da bazar.
Forse ha ragione Siegfried Morenz: a forza di simbolismi ermetici si perde il vero Egitto.
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Interferenze.
Zolla che cerca misteri e trova sufi e zār nubiani. La statua di Amon è già in processione a visitar templi…Thomas Brown discetta di scrittura sacra. Monoteismi originari (oh padre Schmidt). E prima di arrivare a Toth-scrittura s’interrompe il fantasticare. Quanto poco siamo avvezzi all’immaginale, quanto tossici di immaginario…
Fuori è un sole ottuso, sole da kali-yuga. E i contemporanei girano, ciarlano e mangiano (soprattutto mangiano). Il selfie ha compulsato lo hieros glyphos (davvero, ma come ci siamo arrivati?).
E non c’è antidoto che non sia palliativo. Ci resta, tolta l’immaginazione, la speranza di altro Sole, se l’antico ci è precluso.
Come il Mosé di Jan Assman, fanatici esulcerati continuatori di un monoteismo rabbioso, ci aggrappiamo al desiderio di cielo e terra nuovi. E nuovo Sole.
Ma ci si passi l’aver indugiato, per il tempo di un respiro, su di un altro mondo, su un ordine simbolico più vero, un Sole più forte è più fecondo, un altro modo di nascere, vivere, morire alla sua luce.