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Dugin VS Dugin

Lo Zar fa affidamento solo sullo Zar. Per questo non avrà mai bisogno di nessuno.
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Alexander Dugin è un personaggio controverso solamente per chi è disattento. Stando alle radiocronache d’Occidente rappresenterebbe una voce pericolosa, e per certi versi brutale data la facilità con cui parla di violenza contro i nemici. D’altra parte in Russia, Dugin viene raramente menzionato. Nei più di 50 saggi di filosofia pubblicati a suo nome basa la sua idea di mondo partendo da fondamenta Heideggeriane, un gigante del pensiero. Anch’egli, per certi versi, controverso. Dopo l’inizio dell’Operazione Speciale in Ucraina, molte voci in Russia hanno guadagnato peso, compresa quella di Dugin. In particolare i suoi ultimi post sul suo canale ufficiale di Telegram (@AGDchan) hanno avuto una risonanza particolare. In uno di questi ha paragonato Vladimir Putin al “Re della pioggia”, causando frenesia negli analisti di gran parte del mondo occidentale, i quali pensavano che stesse implicando che fosse arrivato il tempo per allontanare lo Zar dal trono, o addirittura per ucciderlo. Nei fatti il senso del messaggio di Dugin era più semplice: così come il “Re della pioggia” del racconto di Sir James Frazer, anche Putin verrà masticato e digerito dalla storia. Prima di questo post – che non è stato rimosso come molti giornali hanno scritto – nello stesso canale Telegram ha scritto: 

«È giunto il tempo che il popolo faccia una richiesta diretta al capo: mandaci al fronte per salvare la terra dei nostri padri. Sappiamo dove andiamo e perché andiamo. Ma cambia la classe dirigente». 

Secondo Dugin, il ritiro delle truppe russe da Kherson è un «armageddon» e una guerra ridotta a questi termini è una sconfitta per tutto ciò a cui Dugin ha puntato nella sua vita – un mondo multipolare euroasiatico. L’Operazione Speciale è dunque una guerra santa che mira a liberare la Russia dall’egemonia e dall’oppressione “dell’Impero liberale”. A scanso d’equivoci lo stesso Dugin ha smentito che con i suoi post stesse cercando di chiedere una rimozione di Putin dal suo incarico scrivendo: «Nessuno ha voltato le spalle a Putin, e io e tutti i russi lo sosteniamo certamente».

In Occidente Alexander G. Dugin è presentato come una sorta di eminenza grigia che ha architettato la strategia geopolitica russa dal 2014, cioè dalla conquista della Crimea. Alcuni periodici gli hanno affibbiato buffe definizioni – “Il cervello di Putin” su tutte. Dugin è certamente noto fra i circoli conservatori europei, molte sue opere sono state tradotte in italiano, una lingua che parla fluentemente. I media occidentali presentano Dugin come il più importante pensatore del nostro tempo, chiamandolo di volta in volta anche “fascista”, “nazista”, o addirittura “comunista”. Queste etichette hanno senso solamente quando tutte le sottigliezze della sua filosofia sono illuminate da una luce così fioca da non permettere di scorgere il suo vero volto.

Dopo il collasso dell’URSS, Eduard Limonov e Alexander Dugin hanno fondato il loro partito “nazional-bolscevico” che criticava al medesimo tempo le principali ideologie del XX secolo. Ma Dugin è anche il proponente di una “quarta teoria politica” che dovrebbe, secondo lui, mettere fine alla “fine della storia”. Alcuni circoli in Occidente vedono in Dugin una figura interessante da studiare, si scrivono articoli, anche accademici, su di lui, lo chiamano addirittura “il filosofo più pericoloso del nostro tempo”. E il pericolo c’è, ma è quello di un mondo che non lo capisce e che arriva a credere che controlli la mente dell’uomo con i codici per lanciare le testate nucleari.

Se l’Occidente ha paura di Dugin, in Russia, al contrario, lo si è cercato d’ignorare fino all’anno scorso. Secondo un report di Meduza, Dugin ha guadagnato l’accesso ai piani alti del potere russo solamente dopo la tragica morte di sua figlia Daria (che spesso comunicava al grande pubblico sotto lo pseudonimo di Daria Platonova), vittima di un attentato che gli stessi americani hanno additato a una sorta di “stay behind” di matrice ucraina. Il Cremlino ha bisogno di un impianto ideologico di facile accesso per il russo medio, e che possa essere facilmente comunicato dal governo. Daria aveva continuato nel solco del padre promuovendo l’idea di un mondo multipolare, apparendo spesso in televisione, e rivolgendosi a un più ampio pubblico grazie, molto semplicemente, alle sue fattezze, per così dire, più “amichevoli”. Tutto il contrario di Dugin, che non gode di buona fama neanche nei circoli accademici nazionali. Nessuna università in Russia permetterebbe a uno studente di discutere una dissertazione sulla sua filosofia. Chi scrive, ha frequentato quelle università. Ne consegue che nessuno, a patto di riuscire a cogliere il sottile riferimento a James Frazer, avrebbe potuto leggere nei messaggi Telegram di Dugin una chiamata alla armi contro Putin. Il suo personaggio viene percepito dai russi con poca fascinazione. Le sue idee vengono considerate molto, se non troppo, radicali, specialmente nel loro supporto incondizionato verso Putin. A ben vedere, però, una condizione c’è. Dugin non sostiene Putin in quanto Putin, ma come rappresentante supremo della volontà di potenza russa. Il Putin capace di sentirsi euroasiatico, di uccidere il Putin “occidentale”, di sollevare milioni di suoi concittadini da una condizione di estrema povertà, di rimettere la Russia al centro delle diatribe geopolitiche. 

Dentro di sé, Dugin è uno spirito assolutamente solido e monolitico. Ma al di fuori, in Occidente e in Russia, Dugin rappresenta due personalità molto diverse. In Occidente è temuto e rispettato, in Russia ha ottenuto le luci della ribalta solamente dopo il 24 febbraio. Da un punto di vista russo, è impossibile che una sorta di intellettuale millenarista possa essere il burattinaio di un ex ufficiale dell’FSB. Al contrario può solamente essere un altro degli strumenti a disposizione dello Zar per raggiungere i suoi scopi. Nel futuro di Dugin non può esserci una solida relazione con lo Zar. Perché lo Zar fa affidamento solo sullo Zar. Ogni decisione che incide sul ruolo geopolitico della Russia è fatta solo da Putin. I suoi ultimi discorsi pubblici sono invece pregni di citazioni a filosofi del passato, come Ivan Ilyin (considerato fascista anch’egli) e Fedor Dostojevski. Un altro strumento per persuadere la popolazione che le decisioni andavano prese. Niente più che strumenti. Come Dugin, che non fa eccezione.

(traduzione di Davide Arcidiacono)

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