Occidente e Islam. Due termini, due visioni del mondo; ma non due entità geografiche. Che significa?, si dirà. L’Occidente è geografia, l’Islam è religione. Nient’affatto, si potrebbe ribattere. L’Occidente è modalità di pensiero, produzione culturale, fluire incessante di tradizione. E l’Islam, prim’ancora di una fede, è il contraltare dell’Occidente: anch’esso storia di pensiero, produzione di cultura, tradizione sacra ma anche profana.
Francesca Bocca-Aldaqre non si lascia persuadere da narrazioni alla moda nella cultura pop ma già démodé negli ambienti accademici:
«Scontro di civiltà e fine della storia sono vie non più percorribili, che non hanno saputo guidare a identità, mito e cultura»
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scrive nell’introduzione di Nietzsche in Paradiso. Vite parallele tra Islam e Occidente (Mimesis edizioni). Occidente e Islam, due culture, due mondi, sono invero destinati a intrecciarsi; appartenenti entrambi a una storia (anzi, alla Storia) che è, per sua natura, comune, Occidente e Islam sono solo fittiziamente separati, quasi una dialettica tra tesi e antitesi dove i due termini si implicano l’un l’altro e mirano a una sintesi ulteriore – non una cultura ibrida ma uno sguardo che sappia cogliere l’unità del pensiero. Scrive l’autrice:
«Talvolta l’Islam intuisce l’Occidente, altre volte è l’uomo occidentale a spiegare il musulmano. I due, spesso, convergono senza nesso di causa ed effetto. È naturale, essendo il pensiero uno soltanto».
Pag. 9
Un esercizio rivoluzionario, laddove per rivoluzione s’intende un sovvertimento dello schema ormai stantio di un Islam prospiciente e contrapposto all’Occidente. L’Islam non è là, di fronte a noi, ma qua, fra di noi – lo stesso è vero dell’Occidente, che è qui e lì, a destra e a sinistra, quasi una coltre che copre l’intero globo. E questo non vale solo oggi, nell’epoca della globalizzazione, ma anche ieri, e finanche prima della rivelazione muhammadica, prima della venuta del Cristo, fin dal principio della creazione.
Nietzsche in Paradiso è un esercizio in questa direzione: otto coppie di personaggi si susseguono per far emergere una tensione comune, uno sviluppo multiforme e culturalmente determinato di uno stesso avanzamento. Nessuna esclusività occidentale, e nemmeno alcun tipo di peculiarità islamica. Muhammad Iqbal (1877-1938) trae ispirazione da Friedrich Nietzsche (1844-1900), vede in lui un mistico; come lui rimprovera il platonismo; come lui esalta l’individuo e la capacità di azione. E Nietzsche, dal canto suo, si affida all’Islam (in funzione anticristiana, certo) vedendone una esaltazione vitalistica della forza, una viva sorgente di energia antimoderna; e si volge alla Persia, là vi trova Zoroastro – Zarathustra –, bilancia tra Apollo e Dioniso. Iqbal descrive un Nietzsche che
«“Estatico, fu considerato pazzo”; la sua natura non fu compresa, perché “guai al mistico che ha la sventura di nascere in Europa!”».
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Così Ernest Jünger (1895-1998), nel suo Trattato del Ribelle, teorizza – senza nesso di causa ed effetto, come scrive Francesca Bocca-Aldaqre – la vita di Jamaluddin al-Afghani (1838-1897): due ribelli che, in fondo e per prima cosa, si sono opposti al materialismo, allo schiacciamento soffocante della realtà sul piano empirico. Entrambi mirano allo stesso scopo, alla rivitalizzazione della propria tradizione religiosa «non accontentandosi però di ripercorrere il già detto» (pag. 37). E sembrano essere fedeli, il tedesco e il musulmano itinerante, a quel versetto del Corano che, precorrendo la modernità, non si oppone ai pagani ma ai materialisti:
«Dicono: “Non c’è che questa vita terrena: viviamo e moriamo; quello che ci uccide è il tempo che passa”. Invece non possiedono nessuna scienza, non fanno altro che illazioni».
Corano 45:24
E ancora, Martin Heidegger (1889-1976) e ibn ‘Arabi (1165-1240) appartengono allo stesso movimento di pensiero, che qui si fa filosofico.
«Radura – Lichtung – in Heidegger, e apertura – futūh – in ibn ‘Arabi, descrivono una stessa condizione dell’umano, necessaria affinché si manifesti l’Essere».
Pag. 59
A distanza di parecchi secoli, due dei più importanti pensatori di due culture diverse ma di una stessa Storia giungono a conclusioni pressoché coincidenti. Al punto che, sì, si può parlare appropriatamente di coincidenza, e cioè di un venire a coincidere di diversi itinerari intellettuali. Entrambi, nel loro procedere, mettono tra parentesi le tradizioni teologiche dominanti, quella cristiana e quella islamica, al fine di lasciarsi sollecitare dalla nuda Verità. E Henry Corbin (1903-1978), filosofo e orientalista francese, non può non affermare che
«“Quello che cercavo in Heidegger, e che Heidegger mi ha aiutato a capire, era la stessa identica cosa di quello che cercavo in Iran e che la filosofia persiana mi ha mostrato”».
Pag. 66
Lo stesso vale per la fenomenologia, disciplina filosofica tutta moderna facente capo a Edmund Husserl (1859-1938) ma che, nel confronto tra Maurice Merleau-Ponty (1908-1961) e Abu ‘Ali al-Hasan ibn al-Haytham (965-1040), meglio noto come Alhazen, viene retrodatata di quasi mille anni. Se la fenomenologia, come sottolinea Francesca Bocca-Aldaqre,
«Nasce da un punto preciso: dalle macerie del razionalismo, [allora] non è solo possibilità per l’Occidente, e neppure condizione esclusivamente moderna». Sicché «nella Persia del X secolo, è stata la teologia a minare la fiducia in un’oggettività del mondo. Nell’Europa all’alba del XX secolo, invece, la colpa è la riduzione dell’uomo ad opera della scienza. L’unica via d’uscita è ripartire dall’uomo, e da ciò di cui è fatto: il corpo»
Pag. 74-75
con un peculiare accento sulla percezione, e specialmente sull’ottica, sulla quale entrambi, Alhazen e Merleau-Ponty, lavorano a più riprese. Cartesio (1596-16509 e al-Ghazali (1058-1111) invece partono dal dubbio nei confronti di ogni sensazione – percorso uguale e contrario a quello fenomenologico. Sorprendentemente, in questo caso, sì, c’è una filiazione quasi genetica:
«Tra i libri appartenuti alla biblioteca personale di Descartes vi è una traduzione latina della Liberazione dal dubbio di al-Ghazali e, ai margini, un commento: “Ciò sarà aggiunto al nostro metodo”. La posizione precisa dell’annotazione è a fianco dell’intuizione di Ghazali: “Il dubbio è il primo livello della certezza”. […] Già in epoca vittoriana i critici, inebriati dalla pretesa di conoscenza dell’Oriente e del suo pensiero, esclamano: “Fossero state disponibili traduzioni di Ghazali, dal tempo di Descartes, tutti avrebbero gridato al plagio”».
Pag. 96-97
Eppure una differenza c’è: Cartesio giunge alla macchina, Ghazali all’intervento divino.
In Nietzsche in Paradiso altri ancora sono gli accostamenti, dai più immediati (Lev Tolstoj che narra le gesta dell’imam Shamil), a quelli letterari (Robinson Crusoe plasmato su Hayy ibn Yaqzan, protagonista di un romanzo arabo del 1175), fino ai più audaci (Victor Hugo nelle cui orecchie sussurrano i jinn che «mischiano una parola vera a cento menzogne» [pag. 83]). Un caravanserraglio insolito ma per nulla improbabile. Bisogna fare un passo indietro e guardare dall’alto il tessuto arlecchinesco per comprenderne la coerenza e la fecondità: colori accostati ad altri colori, pezze e rattoppi le une sugli altri; ma niente di forzato, niente di artefatto. L’intuizione di Francesca Bocca-Aldaqre è l’unità del pensiero – che, va da sé, segue all’unità della Verità. Solo da quest’altezza si possono comprendere gli sforzi umani come appartenenti, direbbe Kant, a una storia universale in prospettiva cosmopolitica.
Nietzsche in Paradiso è un tassello – se non altro uno dei primi – ad aver proposto una storiografia del pensiero del tutto inedita. E che oltre a questa propone una strada, appunto, alternativa allo scontro di civiltà e alla fine della storia. In una recente intervista su La Lettura del Corriere della Sera, Francesca Bocca-Aldaqre ha dichiarato:
«Non c’è [ancora] un’articolazione convincente del pensiero islamico per la contemporaneità. Noi musulmani non abbiamo sviluppato un pensiero nuovo per quest’epoca. Un pensiero rilevante per una cultura della contemporaneità che è in gran parte post-religiosa». E ancora: «Auspico la possibilità per l’Occidente di fare cibo dell’Islam per la sua produzione culturale. Secondo me esiste una potenzialità enorme per l’Islam, la sua letteratura, la sua spiritualità, di contaminare in maniera colta l’Occidente».
Questo il programma perennemente in itinere che Francesca Bocca-Aldaqre ha voluto tracciare.