La spartizione dei cosiddetti “TOP EU jobs” non attende le elezioni europee. La redazione di Dissipatio si è messa in contatto con il network di Bubble Report (www.bubblereport.eu) per individuare tutti i puntini e unirli in un scenario che ora proviamo a mettere nero su bianco. Ecco che nella bolla di Bruxelles e nelle cancellerie che contano, o che contavano, si iniziano a scoprire poco a poco le carte. A questo giro di boa però, nonostante Emmanuel Macron e Olaf Scholz abbiano ancora la pretesa di distribuirle, in realtà non sembrano più loro a tenere il banco e stabilire le regole di ingaggio: i loro rispettivi governi sono debolissimi sia all’interno che all’esterno. Il caos geopolitico che imperversa intorno a un’Europa frammentata e in forte affanno è l’elemento strutturale di questa fragilità.
Ma anche la fragilità delle loro rispettive famiglie politiche non scherza, soprattutto quando si fanno i conti in tasca ai “macroniani europei” (leggasi Renew Europe). Questi, infatti, rischiano di perdere moltissimi seggi. Basti pensare che in Spagna sono a zero contro i sette delle ultime elezioni, in Italia rischiano lo stesso ineluttabile destino. E le cose non vanno meglio negli altri Stati membri. A partire dalla Germania dove, nonostante le bandierine pro-austerity di Christian Lindner, rischiano di finire sotto la soglia del cinque per cento. Ed è in questo contesto che il capo dell’Eliseo prova a giocare in attacco. Dopo aver messo al riparo i suoi fedelissimi più giovani (Gabriel Attal e Stéphane Séjourné) all’interno della nuova compagine di governo in Francia, utilizza Draghi per sparigliare le carte.
Sa bene che la debolezza del suo di governo e del suo movimento politico in Europa non gli consentirà di far saltare il banco e scegliere come fece nella puntata precedente, quando silurò Manfred Weber e tirò fuori dal cappello Ursula von der Leyen. Ora è diverso, non può permettersi il lusso di piazzare il suo talentuoso Thierry Breton, serve quindi correre ai ripari per limitare il crescente potere Giorgia Meloni e di Donald Tusk (leggasi Stati Uniti) sull’Europa. Quale migliore idea dunque di Mario Draghi come possibile super candidato? L’amico giusto al posto giusto, al momento giusto. Che si avvale del fido professore italiano Francesco Giavazzi, il quale insieme al professore francese Dominique Moisi è di casa a Parigi e all’Eliseo. In estrema sintesi: “un governo di salvezza nazionale” (tecnico-politico de facto) di italiana memoria esportato a livello europeo. Roba da far venir l’orticaria a Olaf Scholz, il quale, buon’anima, deve fare i conti con una Germania in preda al tracollo economico e con uno spezzatino di maggioranza che, da un lato, non vuole sentir parlare di debito europeo (i liberali di Lindner, Mario Draghi non lo vogliono vedere manco in cartolina) e, dall’altro, lotta per avere la Annalena Baerbock al posto di Josep Borrell come Alto Rappresentante dell’Unione Europea con delega alla difesa (vedi i verdi). I tedeschi della CDU che han sempre dato le carte nel PPE non stanno messi meglio. Il progetto di far entrare Giorgia Meloni nei popolari – targato Manfred Weber – per ora sembra in standby. Se continua così, prima o poi, saranno i popolari a bussare alla porta dei conservatori della premier italiana chiedendole di entrare a farne parte. La sconfitta di Macron alle prossime presidenziali in Francia appare ineluttabile. È quindi in questa chiave che va letta la inversione a 360 gradi di Marine Le Pen sul suo posizionamento internazionale. Che fa anche scopa con la recente pace tra lei e la nipotina (una neo-conservatrice atipica che sulle orme della Meloni in Italia illumina la strada dei conservatori in Francia). E che presto o tardi la potrebbe portare a rompere con i tedeschi di AfD lasciandoli soli in nel gruppo Identità e Democrazia per migrare insieme alla nipotina nell’ECR.
Nel frattempo due pezzi da novanta del socialismo europeo come Costa e Sanchez potrebbero ambire al posto di Charles Michel alla presidenza del Consiglio. In mezzo a questo guazzabuglio, la vispa Teresa della politica europea è “Ursulona”, la quale dopo aver accettato lo spitzenkandidaten è diventata l’obiettivo di un tiro al piccione interminabile, con i tedeschi del suo partito divisi più che mai. Tra chi sogna di vendicarsi e prendere il suo posto (leggi Weber) e chi vuole mandarla a casa per avere la scusa in Germania di cacciare Scholz dal Governo, accusandolo di non contare più nulla in Ue. In tutto ciò, Roberta Metsola spera di non perdere la poltrona di Presidente del Parlamento Europeo perché altri due anni e mezzo combacerebbero con le elezioni politiche a Malta consentendole di rientrare in casa da Premier, scalzando finalmente i socialisti dal governo e riuscendo laddove non sono riusciti né gli scandali di corruzione né le giornaliste saltate in aria. Il PPE rappresenterà, seppur con le ossa rotte, ancora il primo partito per numero di seggi in Parlamento.
È quindi chiaro che una delle sue personalità avrà più chance di essere eletta a capo della Commissione. Sempre che la politica non decida di abdicare ai tecnici come ha già fatto altrove in giro per il Vecchio Continente, relegando un Parlamento Europeo senza diritto d’iniziativa legislativa a un ruolo ancor più secondario. E qui la carrellata di nomi per la Presidenza si spreca: il croato Plenkovic, l romeno Iohannis, il greco Mitsotakis, la maltese Metsola, il tedesco Weber, e via discorrendo. L’attuale presidente croato Plenkovic piace ai tedeschi e funzionerebbe in un’ottica di allargamento ai Balcani, ma dovrebbe lasciare il suo Governo. Stesso discorso vale per il premier Kyriakos Mitsotakis. Klaus Iohannis invece vorrebbe il posto, ma ha creato mal di pancia tentando di rubare la scena di Mark Rutte alla Nato. In questo incredibile caos, gli americani al tempo di Biden (poi con Trump potrebbe essere tutta un’altra storia) diranno la loro insieme tramite la Meloni e Tusk (anche se il loro obiettivo, quello di indebolire la Germania tramite la guerra in Ucraina è stato già parzialmente raggiunto). E alla fine la sorpresa potrebbe arrivare proprio dall’Italia. Oltre a Mario Draghi, potrebbe essere proprio Antonio Tajani, forte della sua esperienza e rete di potere su a Bruxelles, e del rapporto di fiducia reciproca con Giorgia Meloni. In compenso dovrebbe lasciare la Farnesina, e gestire la segreteria del Partito in “esilio”.