Non tutte le industrie cinematografiche sono uguali. Alcune intrattengono. Altre educano intrattenendo, affidando al piccolo e al grande schermo il compito della pedagogia nazionale. Hollywood appartiene a quest’ultima categoria.
Negli anni Trenta impegnato a promuovere la Politica del buon vicinato con l’Iberoamerica. Negli anni Quaranta in prima linea nel rinfocolamento dello spirito patriottico dell’homo americanus. Dagli anni Cinquanta alla fine della Guerra fredda alle prese con la costruzione dell’Occidente e con la demonizzazione dell’Unione Sovietica e di tutto ciò che era rosso. Durante le ere Bush Jr e Obama arruolato nella Guerra al Terrore. Hollywood è stato, sempre, specchio e riflesso dello zeitgeist vissuto dall’America.
Lo spirito del tempo odierno è pervaso di nostalgica melancolia, ansia e agorafobia. Nostalgia per il mondo sregolato ma con delle regole della Guerra fredda. Ansia per lo scoppio di uno scontro egemonico per il dominio globale nel bel mezzo di una crisi esistenziale accentuata da affaticamento imperiale. Agorafobia perché le acque di anarcolandia stanno esondando e travolgendo confini e santuari dell’Occidente.
La produzione hollywoodiana del terzo decennio del Duemila, nel rispetto dell’attuale zeitgeist, mai è stata così introspettiva, cupa e claustrofobica. Vuole aprire gli occhi degli americani sullo stato di salute in cui versa l’America. Vuole metterli in guardia dai rischi che corre la multinazione se affrontassero con disunità e superficialità le sfide del secolo. Vuole instillare una paura produttiva nel loro animo assopito per prepararli al surriscaldamento della nuova guerra fredda.
Top Gun ha risollevato le sorti del boccheggiante Esercito degli Stati Uniti durante le ultime e fondamentali fasi della guerra semifredda contro l’Unione Sovietica. Zero Dark Thirty aveva aiutato gli americani a rivalutare, se non ad amare, la Guerra al Terrore. Il mondo dietro di te, blockbuster edu-intrattenitivo targato Netflix di fine 2023, sarà ricordato come la trasposizione delle ansie e delle fobie dell’America contemporanea. Un’America esausta ed esaurita, divisa e diffidente (di se stessa), incattivita e instupidita.
Una famiglia bianca e una famiglia afroamericana sono costrette da eventi di forza maggiore a stare insieme mentre un poltergeist avvolge l’America. Sembra la fine del mondo, solo che non lo è: è una guerra ibrida totale che sta mettendo in ginocchio la superpotenza tra hackeraggi alle centrali elettriche, sabotaggi di vetture e velivoli, disinformazione dal cielo. Obiettivo: cagionare il collasso sociale, industriale ed economico dell’America, tramortendone con dardi avvelenati i talloni d’Achille, per spianare la strada a un cambio di regime.
Sapere chi si cela dietro la trama destabilizzativa è impossibile. Potrebbero essere gli iraniani, i russi, i cinesi, i nordcoreani. In molti hanno un motivo per avercela con l’America e coalizzarsi contro di essa, ammettono i protagonisti.
Sopravvivere alla caduta dell’America è altrettanto arduo. La gente è abituata a pensare ciò che gli viene detto da televisione e computer, che, però, hanno smesso di funzionare. Un uomo senza telefono è un uomo inutile, tuonerà uno sconsolato Ethan Hawke durante un crollo emotivo, accortosi che la tecnologia dà (comfort) e che la tecnologia toglie (intelligenza).
La più grande paura dell’America è di seguire il fato dell’Unione Sovietica, perdendo la nuova guerra fredda per implosione. Paura legittima nel momento in cui le relazioni interetniche sono al punto più basso della loro storia – e l’Agenzia di Ricerca sull’Internet ha dimostrato di saper strumentalizzare tale malessere –, una coalizione antiegemonica che ha giurato di mettere fine all’ordine americano va prendendo forma e tutto ciò che è collegato alla rete può essere spento con un clic.
Il messaggio che le stanze dei bottoni hanno chiesto a Hollywood di trasmettere agli americani è lapalissiano: la minaccia di una guerra ibrida totale, da affrontare in casa, è concreta. I blackouttelecomandati con cui gli Stati Uniti per anni hanno spento e acceso a piacimento il Venezuela di Maduro un giorno potrebbero tornare indietro come un boomerang. L’intelligenza artificiale che ha garantito all’America il primato sul resto del mondo potrebbe esserle ritorta contro. E le guerre cognitive acuirebbero con facilità le divisioni in una società atomizzata, indifferente, “che è sempre arrabbiata” e in cui il colore della pelle è visto come il metro con cui misurare se una persona è degna di fiducia e di aiuto oppure no.
Dipendenti dalla tecnologia. Diffidenti da chi non è del loro stesso colore. Storditi dalla televisione e da Internet. Incapaci di combattere una guerra ibrida e di navigare il disordine globale. Gli americani non sono pronti alla tempesta perfetta che si staglia all’orizzonte. Washington, attraverso Hollywood, gli sta dicendo che la pioggia arriverà comunque e che l’alternativa alla mobilitazione e alla coscientizzazione è una non-alternativa: è una disordinata e caotica sconfitta simil-sovietica. Che l’America non può permettersi.