Il retroterra socio-culturale vale molto di più qualsiasi strumentalizzazione di appartenenza politica. Le grandi ideologie del Novecento sono morte e sepolte. Viviamo nella società di massa. Questa deve essere la premessa di tutti gli addetti ai lavori che si affannano a svelare la matrice dell’assassino (o degli assassini, le indagini e gli interrogatori sono tuttora in corso) che barbaramente ha ucciso il ventunenne Willy Monteiro Duarte. La stessa che ha inghiottito e sputato quegli attentatori in Europa, immigrati di seconda generazione, nati nel Vecchio Continente, reclutati dall’Isis.
Allora avevamo a che fare con giovani cresciuti nei quartieri periferici delle grandi città, banlieues o suburbs, non-luoghi, sovraffollati, degradati, impoveriti. Prima di radicalizzarsi, aderire allo Stato Islamico, invocare un Dio New Age, in versione orientale, la maggior parte di loro erano ragazzacci di vita, nella loro ingenuità, connessi alla delinquenza, culturalmente sradicati, socialmente emarginati, iper-consumatori, rapper, avversi ad ogni forma di tradizione, pura imitazione del gangster bling bling americano. Fomentati dalla sottocultura delle armi, dal vanto della prigionia, dal consumo di stupefacenti, e ancora da un linguaggio codificato, da gesti e neologismi, apologeta della cultura ghettizzata. Eppure il passaggio da ragazzaccio di vita a terrorista di professione diventa fin troppo breve.
Così come il passaggio da “coatto” (sempre sia lodato quello di una volta!) a picchiatore della notte. Anche lui, archetipo della cultura massificata tutta occidentale, che al rap preferisce la musica techno, agli stupefacenti le creme di bellezza, alle cicatrici i tatuaggi, alla barba il doppio taglio, alle armi la lotta, ai luoghi di culto finanziati dai petrodollari programmi televisivi come Uomini e Donne, allo spaccio l’estorsione, alla ribellione la depilazione. Insomma una versione occidentale del “kamikaze” neo-convertito orientale. La matrice in fondo è la stessa, con qualche sfumatura: il nichilismo.
Del resto il retroterra socio-culturale, apparentemente banale e inflazionato, aiuta a comprendere i fenomeni, in questo caso un vero e proprio omicidio, molto di più del retropensiero dei suoi protagonisti. Perché a muovere gli istinti più bassi sono i simboli interiorizzati che si trasformano in violenza. E quei simboli non appartengono a nessun luogo dello spirito. A Colleferro l’immaginario si si è mosso su altri binari che probabilmente viaggia ancora a velocità lenta. Siamo solo all’inizio e ci siamo dentro tutti, mica solo i coatti o le influencer, nessuno escluso, anche chi, compreso il sottoscritto, crede di essere spettatore del naufragio. Dopo il tramonto c’è solo Willy Monteiro Duarte.