È morto a cent’anni uno degli uomini di Stato americani più longevi, senza dubbio fra i più conosciuti nel mondo. Eppure, Henry Kissinger ha esercitato funzioni di governo per soli otto anni dal 1969 al 1977: perché dunque il motivo di tanto successo?
La sua biografia sintetizza i drammi del XX secolo. Nasce, infatti, a Fürth, in Baviera, da una famiglia ebrea tedesca, con il nome di Heinz. La famiglia è costretta a lasciare la Germania nel 1938 (l’anno della notte dei cristalli) prima per l’Inghilterra e successivamente per gli Stati Uniti.
Pertanto, Kissinger trascorre la sua infanzia e adolescenza in Germania: un dato niente affatto trascurabile. Dopo gli studi ad Harvard, si afferma come brillante accademico e saggista, soprattutto in materia strategica. Il suo primo libro, del 1958, è “Nuclear Weapons and Foreign Policy” nel quale inquadra i cambiamenti dovuti alla proliferazione nucleare in relazione allo scenario internazionale. Già negli anni Cinquanta diviene consulente di politica estera di Nelson Rockefeller, repubblicano, potente Governatore dello Stato di New York.
Rockefeller è un personaggio atipico nel Partito Repubblicano: un “liberal” che entra in contrasto con gli orientamenti più moderati del Partito. I suoi tentativi di ottenere la nomination repubblicana per la Presidenza nel 1964 e nel 1968 falliscono, e nelle primarie si affermano, rispettivamente, le candidature di Barry Goldwater dell’Arizona, prima, e di Richard Nixon della California, poi. Ed è proprio quest’ultimo a vincere le elezioni presidenziali del 1968 sconfiggendo il candidato democratico, Hubert Humphrey, allora Vice Presidente. Nonostante non facesse parte del proprio team, Nixon chiama Kissinger alla carica di Consigliere per la Sicurezza Nazionale. Fino a quel momento, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale era stata una carica minore, istituita peraltro solo nel 1947, dato che la direzione della politica estera era concentrata nelle mani del Segretario di Stato.
Il mondo nel quale Nixon e Kissinger si trovano a operare all’alba del 20 gennaio 1969 è contraddistinto da forte instabilità. L’invasione sovietica della Cecoslovacchia dell’agosto 1968 ha aperto un nuovo periodo di gelo nelle relazioni tra Est ed Ovest; gli Stati Uniti nello stesso anno raggiungono il massimo coinvolgimento militare nel Vietnam con 500.000 militari americani impiegati nei combattimenti; in Medio Oriente, dopo la guerra dei sei giorni del giugno 1967, è in atto la cosiddetta “guerra di attrito” tra Israele ed Egitto mentre il Canale di Suez, forse la più importante via di comunicazione marittima, a livello mondiale, rimane bloccata.
Esiste poi una questione geo-strategica a livello mondiale che avrà effetti determinanti sugli esiti della guerra fredda: la rottura tra le due più importanti potenze comuniste del mondo, l’Unione Sovietica e la Repubblica Popolare Cinese. Proprio nel 1969, URSS e Cina sfiorano un conflitto armato dopo gli incidenti sul fiume Ussuri. Esiste, connessa a questa, un’altra questione di rilevanza strategica prima ancora che diplomatica: la Repubblica Popolare Cinese è fuori dall’ONU ed il seggio di membro permanente al Consiglio di Sicurezza è occupato dal 1945 dalla Repubblica di Cina di Chiang Kai-Shek. Gli USA non hanno relazioni diplomatiche con la Cina Comunista: quest’ultima, peraltro, potenza nucleare dal 1964, si configura come avversario globale tanto dell’URSS quanto degli USA.
Nixon e Kissinger hanno il merito storico di aver rimesso in moto le relazioni internazionali, sbloccato (ovviamente sulla base dei propri interessi geo-strategici) una serie di questioni e reso il mondo più sicuro. La vera svolta nella politica mondiale avviene proprio sulla questione Cina. Il 15 luglio 1971 Nixon annuncia una propria visita nella Repubblica Popolare Cinese per il febbraio dell’anno seguente. L’annuncio è reso possibile da una missione segreta proprio di Kissinger a Pechino, nei giorni precedenti. Oggi possiamo dire che quell’annuncio rappresenta uno spartiacque nella storia della seconda metà del XX Secolo. Le conseguenze sono, infatti, fondamentali per le dinamiche che si vengono ad innescare.
La Repubblica Popolare Cinese, nel novembre successivo, fa il suo ingresso all’ONU ed ottiene lo status di membro permanente del Consiglio di Sicurezza ed il Paese si avvia, lentamente e con alterne vicende, a chiudere la Rivoluzione Culturale che, nella realtà, si risolse (oggi lo sappiamo) in una crudele guerra civile. Nel 1972, la presidenza americana avvia nei confronti dell’URSS la politica di distensione che porta alla visita di Nixon a Mosca, nel mese di maggio, alla firma del primo Trattato sulla limitazione delle armi strategiche nucleari, (SALT 1) e a quello ABM, anti missili balistici. Nel Medio Oriente, la guerra dello Yom Kippur dell’ottobre 1973 porta il mondo vicino ad un confronto militare globale: grazie proprio a Kissinger viene ottenuta una tregua tra Israele e il fronte arabo e, nell’arco di due anni, si giunge alla riapertura del Canale di Suez.
Il risultato più importante è però il ripristino delle relazioni diplomatiche tra gli USA ed alcuni Paesi della medesima area, fino a quel momento decisamente ostili all’Occidente: Egitto e Siria, in particolare. Questa strategia diplomatica sarà chiamata “la politica dei piccoli passi” e porterà a risultati politici sorprendenti, quali la visita del Presidente Sadat in Israele nel novembre 1977. Kissinger verrà ricordato, anche, quale protagonista dei negoziati di pace di Parigi che portarono alla fine dell’impegno militare americano in Vietnam. Per questi accordi di pace Kissinger ottenne il Premio Nobel per la Pace nel 1973, congiuntamente al negoziatore nord-vietnamita, Le Duc Tho. In realtà gli Accordi di Parigi fallirono nell’arco di due anni, producendo un momento di grande debolezza della potenza americana. Il governo del Vietnam del Sud, privo del sostegno diretto dei soldati americani, soccombette alle forze regolari dell’esercito del Vietnam del Nord e della guerriglia vietcong. Le forze comuniste entrarono a Saigon il 30 aprile 1975. Analogamente i khmer rossi conquistarono Phnom Penh il 17 aprile precedente.
È stato rimproverato a Kissinger di aver provocato il fallimento della politica americana nel Sud-Est asiatico e di aver indirettamente favorito, con l’escalation del conflitto, la nascita di un regime genocida in Cambogia. In realtà, la politica americana si ritrovò in pesanti difficoltà per effetto dello scandalo Watergate che indebolì fortemente la sua leadership. Kissinger, nel frattempo divenuto Segretario di Stato nel settembre 1973, si ritrovò a gestire questa fase con le dimissioni di Richard Nixon (presentate proprio a Kissinger in quanto nel sistema americano il Segretario di Stato è anche Ministro Guardasigilli), l’avvento alla Presidenza di Gerald Ford e la prevedibile sconfitta repubblicana nelle elezioni di medio termine del novembre 1974. Eppure la politica di distensione che tante critiche sollevò, a suo tempo, da parte della destra repubblicana e di importanti settori del partito democratico, produsse un ultimo straordinario risultato, con l’Atto Finale di Helsinki del 1° agosto 1975, con il quale trentacinque Paesi europei, gli Stati Uniti e il Canada riconobbero le frontiere nate alla fine della seconda guerra mondiale e la rinuncia all’uso della forza per cambiarle. Ma Helsinki previde anche un “terzo cesto” dedicato ai diritti umani che avrebbero portato, con i movimenti nati per il suo rispetto, da “Charta 77” in Cecoslovacchia, a Solidarnosc in Polonia, al lento disgregarsi del mondo comunista sovietico.
Dopo l’avvento alla Presidenza USA del democratico Jimmy Carter (20 gennaio 1977) iniziò per Kissinger l’attività di consulente, saggista e conferenziere. Alla soglia dei cent’anni è stato in grado di esporre lucide analisi sul conflitto in Ucraina e sui rapporti con la Russia, improntate a grande prudenza e realismo. In questo ultimo mezzo secolo sono state attribuite a Kissinger tante colpe: dal colpo di Stato in Cile, alla ostilità nei confronti della politica di Aldo Moro in Italia. In ogni caso, i lasciti della sua azione di governo hanno prodotto dei risultati che hanno inciso durevolmente ed anche positivamente nel complesso delle relazioni internazionali.