La conferenza Quale democrazia? tenuta dal filosofo del diritto Norberto Bobbio il 27 maggio 1959 all’interno del circolo Incontri di cultura, promossa da alcuni intellettuali bresciani, si prefiggeva di analizzare l’antinomia tra l’ideale di uguaglianza e quello di libertà. Quel dibattito in un’epoca, la nostra, in cui non siamo del tutto soddisfatti della struttura democratica che ci siamo costruiti, è più che mai attuale.
Che la democrazia consista nell’autogoverno del popolo è un mito che la Storia continuamente smentisce: è sempre una minoranza formata dalla classe politica e dalle l’élite a decidere le sorti dell’umanità. Tuttavia, nonostante la classe dirigente si rinnovi attraverso il metodo elettivo, il rapporto tra essa e il corpo elettorale non è un rapporto diretto: tra l’uno e l’altra, infatti, sono frapposti i partiti organizzati. La scelta del popolo è rigidamente limitata dalla designazione delle direzioni dei partiti, che grazie ai mezzi di propaganda riescono a cavalcare l’onda emotiva del momento per attirare consensi che, a loro volta, necessitano di un periodico rinnovamento.
Secondo Bobbio «l’instabilità della democrazia in Italia dipende principalmente dalla mancata formazione di una classe politica degna di un grande Paese civile». A distanza di oltre sessant’anni da questa asserzione le cose non appaiono molto cambiate; ancora assistiamo al fallimento del compito di dare all’Italia dei dirigenti egregi per dignità, intelligenza politica, forza di carattere e competenza amministrativa. Questo accade perché, secondo il filosofo, «i grandi partiti del nostro Paese sono partiti ideologici che hanno una verità da imporre ai loro fedeli» e che tendono a trasformare la libertà di adesione in obbedienza formale, la persuasione in imbonimento e la partecipazione attiva in disciplina passiva. Vi è una sorta di infatuazione ideologica nella quale il pensiero critico del singolo individuo viene non solo ignorato, ma spesso persino messo a tacere, se è il caso, anche con metodi che fanno ricorso alla repressione e alla violenza.
Nonostante tutto, la democrazia è e rimarrà il sistema di governo maggiormente desiderabile, perché si propone di conciliare la libertà e il potere. Sebbene non sia possibile realizzare tale equilibrio in uno Stato che manchi di un solido potere organizzato, esso si organizza tanto più facilmente quanto meno tiene conto del consenso e della libertà dei cittadini. Secondo Bobbio «la difficoltà della democrazia sta nel trovare una soluzione soddisfacente a questa tendenza drammatica». Le istituzioni, dal canto loro, sono solamente mezzi per raggiungere certi fini e il principale è l’uguaglianza. Ma l’eguaglianza non è il punto di partenza, perché gli uomini non sono eguali, bensì è un dovere da compiere: il risultato finale al quale tendere. L’Italia rimane un Paese con enormi disuguaglianze, ma il segno infallibile da cui possiamo riconoscere il progresso civile è il livellamento degli ordini estremi della società, la limitazione del dominio dell’uomo sull’uomo.
Oggi come ieri il dominio dell’uomo sull’uomo e della classe politica sul cittadino passa attraverso la censura. La Commissione europea ha, infatti, varato un pacchetto della legge sui servizi digitali, che comprende il Digital Services Act (DSA) e il Digital Market Act (DMA), un unico insieme di norme che si applicano in tutta l’Ue. Sul sito web della Commissione si spiega che:
«Gli obiettivi principali sono due: creare uno spazio digitale più sicuro e stabilire condizioni di parità per promuovere l’innovazione, la crescita e la competitività, sia nel mercato unico europeo che a livello globale. Le regole specificate nel DSA riguardano principalmente gli intermediari e le piattaforme online. Il Digital Markets Act include regole che disciplinano le piattaforme online gatekeeper (“sorveglainza all’ingresso”), che sono piattaforme digitali con un ruolo sistemico nel mercato interno, che fungono da colli di bottiglia tra imprese e consumatori per importanti servizi digitali. Alcuni di questi servizi sono coperti anche dalla legge sui servizi digitali.»
Secondo la Commissione «i servizi online vengono utilizzati in modo improprio da sistemi algoritmici manipolativi per amplificare la diffusione della disinformazione e per altri scopi dannosi. Queste sfide e il modo in cui le piattaforme le affrontano hanno un impatto significativo sui diritti fondamentali online». Tuttavia, mentre Instagram censura l’hashtag “covid” (il quale rimanda direttamente al sito del WHO), per contrastare la disinformazione e le fake news sul tema, allo stesso tempo – secondo una recentissima inchiesta del Wall Street Journal (intitolata Instagram Connects Vast Pedophile Network) – gli algoritmi del celebre social promuovono la connessione tra vaste e numerose reti di pedofili. Secondo quanto riportato, infatti, sono proprio hashtag e algoritmi a guidare gli individui ai venditori di contenuti online, tramite sistemi di raccomandazione che eccellono nel collegare coloro che condividono interessi di nicchia.
Insomma, appare evidente che la censura operata dalle istituzioni governative nazionali e sovrannazionali sia una censura di tipo selettivo. Se infatti è stato repentinamente impedito ai cittadini di collegarsi tra loro sulla base dell’argomento “pandemia da Sars-CoV-2”, la stessa attenzione non è stata dedicata ai pericolosi predatori di bambini che, numeri alla mano, sembrano popolare la rete. La giustificazione, se così si può chiamare, di Meta riguarderebbe il fatto che «poiché le leggi sui contenuti pedopornografici sono estremamente ampie, indagare sulla loro promozione all’interno di una piattaforma pubblica è giuridicamente delicato». Ciononostante, l’Unione europea afferma di aver «adottato un quadro giuridico moderno che garantisce la sicurezza degli utenti online, stabilisce la governance con la protezione dei diritti fondamentali in prima linea e mantiene un ambiente di piattaforma online equo e aperto».
Chissà cosa penserebbe oggi Norberto Bobbio – passato a miglior vita nel 2004 – dello strano equilibrio tra potere e libertà all’interno del sistema democratico. Forse, ancora una volta, direbbe: «Quale democrazia?».