Confessione

Camillo Langone

"Io sono un polimaniaco dunque non sono contrario alle manie, che aiutano a vivere, ma sono contrario ai contesti monomaniaci. Ne trovo in ogni ambito, politico, religioso, artistico, ogni tanto ci capito in mezzo e dopo mezz'ora comincio a dare segni di asfissia".
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Ritrarre un cultore del ritratto come Camillo Langone è impresa temeraria. Il rischio è cadere nell’equivoco del protagonista del Ritratto di Gogol’, il quale, incaricato di fissare su tela una fanciulla aristocratica, ricorre a un modello di Psiche, ottenendo un tale successo che dimostra come il pubblico, ma anche l’artista, veda nel ritratto innanzitutto quel che vuole o che si aspetta di vedere. Agli occhi del pubblico laico progressista, che è poi quello che sovrintende all’assegnazione delle patenti culturali, Langone è un bigotto reazionario, un uomo pericoloso cui non dovrebbe essere concessa facoltà di parola, che invece esercita da decenni sui giornali. Camillo Langone è uno scandalo vivente, nell’etimo del termine: skàndalon, cioè ostacolo e inciampo. In un’Italia che, soprattutto nelle sue componenti mediatiche e artistiche, tende alla levigazione delle increspature di pensiero, Langone è quell’insidia imprevista contro cui il pubblico urta impreparato. Purtroppo però anche quello appena realizzato è un ritratto parziale e ingenuo, posticcio e sussunto in un modello come forse lo sono tutti i ritratti.

I riferimenti all’arte figurativa non sono casuali. Camillo Langone ne è un appassionato cultore che rivela già in questa pratica la sua atipicità. Diversissimo tanto dai contemplatori museali, estatici e passatisti, quanto dagli esegeti glamour delle installazioni e delle performance, Langone è uno che l’arte la saggia e l’assaggia: arte viva e contemporanea, il lavoro svolto giorno per giorno in studi e laboratori, cui ha dedicato Eccellenti pittori, “il diario della pittura italiana vivente”. Suo modello è infatti Ugo Ojetti, il “mecenate, protettore, guida teorica e committente”. Perfezionista, esteta e edonista: di ciascuna cosa, Langone agogna il massimo. Tanti i suoi maestri; gli allievi pochi, forse nessuno. Alberto Arbasino dichiarato maestro di stile; Guido Ceronetti, Michel Houellebecq e Giovanni Lindo Ferretti maestri di diserzione dalla contemporaneità; Gianni Brera maestro di concupiscenza gastronomica. La lista sarebbe destinata ad allungarsi indefinitamente (Roberto Calasso, Richard Millet, Oriana Fallaci, Cristina Campo), ma meglio non cadere nella tentazione elencatoria.

Enrico Robusti, “San Brizio epatoprotettore, veglia sulle mie vie biliari mentre preparo questi quotidiani arrostini allo spiedo (ritratto di Camillo Langone)”.

Olio su tela, 100×120 cm, 2011. Parma, Collezione Camillo Langone.

A proposito di caduta in tentazione, di Langone va sottolineato l’intransigente cattolicesimo, vissuto anch’esso atipicamente rispetto alle caratterizzazioni più diffuse, quelle del burbero bigottismo, del gioioso comunitarismo e del chitarreggiante relativismo. Fedele all’essenza del cattolicesimo (katholikós significa universale), per Langone questo non è una morale (“Non ci si fa inchiodare alla croce per regolamentare l’uso del pisello”), né spiritualismo disincarnato (“Gesù spiazza perché non si atteggia ad asceta, frequenta donne chiacchierate e non è nemmeno vegetariano”), né culto mortifero (“Tutta la Bibbia è percorsa da questa magnifica idea che la vita ha sempre ragione”). Un cattolicesimo inteso dunque come liberazione, che apprende il motto di Agostino “ama, e fa’ ciò che vuoi”. Non è strano dunque che Langone sia in rotta di collisione con un clero “ipocredente”, allo stesso tempo relativista e repressivo, e un papato che di universalistico ha poco. All’asse Martini-Bergoglio Langone preferisce l’asse Biffi-Ratzinger.

Le particolarità di Langone non si esauriscono certo qui. Da buon cultore della qualità che sfida i secoli, si è fatto promotore del tabarro, l’antico capo invernale veneto, del lambrusco, eccellente vino emiliano, del ritratto a olio su tela, l’unica forma di immortalità terrena, e delle buone letture, ché “il culturame è intercambiabile, la grandezza letteraria insostituibile”. Se quanto scritto fin qui può tratteggiare l’immagine di un vecchio polveroso, meglio sciogliere subito l’equivoco. Langone è tutt’altro che un passatista, ha elevato il suo profilo Instagram a pala d’altare dell’arte e dell’arte di vivere, dove posta con regolarità foto di piatti, bottiglie, libri, quadri e capi d’abbigliamento. Gioiosamente provinciale, non si muove dall’Italia, che conosce a menadito nelle sue forme urbanistiche, enogastronomiche e caratteriali: Il collezionista di città e Bengodi ne sono testimonianza.

Infaticabile autore, cura quotidianamente la rubrica Preghiera sul Foglio, di cui Pensieri del lambrusco è una summa, collabora con Il Giornale e cura mostre d’arte, da ultima Pittori fantastici nella Valle del Po. La sua attività pubblicistica non ha mancato di attirargli critiche feroci, nonché una buona dose di querele, e di annoverarlo nella schiera degli autori proibiti. Il cattolicesimo lo obbliga a deprecare l’omosessualità, l’aborto e l’islam, provocandogli unanimi condanne cui si aggiungono quelle di maschilismo e reazionarismo. Proprio su questo punto prende avvio l’intervista che ci ha concesso.

Camillo Langone, hai espresso molte opinioni dure e inattuali ma, per quanto pruriginose, argomentate con puntualità. Eppure vengono accolte come oltraggi o atti di pubblica indecenza. Perché? Esiste oggi la tendenza a criminalizzare le opinioni?

Dure? Inattuali? A me sembra di essere anche troppo morbido e anche troppo attuale: da una parte cerco di evitare querele, dall’altra sono immerso nel 2020 più di qualunque persona che conosca: osservo quasi solo opere d’arte del 2020, ascolto quasi solo musica del 2020… Beh, è abbastanza noto, stiamo vivendo una nuova stagione di oscurantismo, la censura si fa ogni giorno più occhiuta e su molte questioni essenziali dire la verità è severamente proibito.

Poco tempo fa, sul Foglio, Giuliano Ferrara ti ha descritto come “il nostro nativista preferito, lo squisito scrittore e l’uomo libero di testa che risponde al nome maschio italiano cattolico di Camillo Langone”. Definizione appropriata? E come vorresti essere ricordato?

Appropriatissima. Fra l’altro “Maschio, italiano, cattolico” è il titolo di un mio romanzo abortito. Parecchio autobiografico, ovviamente.

Cattolicesimo tradizionale, tabarri e cravatte di seta, lambrusco, sigari brentani e vita di provincia. Ostilità verso il mondo contemporaneo?

Ostilità verso la stupidità, la sciatteria, lo squallore… Amo ogni cosa nella sua forma migliore, a prescindere dall’anno di nascita. Per capirci: la messa tridentina è migliore della messa cattoprotestante in italiano, e il tabarro è migliore del piumino. Mentre il Lambrusco di oggi è migliore del Lambrusco di una volta, che abitualmente puzzava.

Scrivi da decenni su quotidiani e periodici. Lasciando da parte le disamine sul declino del giornalismo, come sarebbe il tuo giornale perfetto?

Un giornale il più vario possibile. La vita è bella perché è varia e il giornalismo monocorde oltre che inutile è brutto. Io sono un polimaniaco dunque non sono contrario alle manie, che aiutano a vivere, ma sono contrario ai contesti monomaniaci. Ne trovo in ogni ambito, politico, religioso, artistico, ogni tanto ci capito in mezzo e dopo mezz’ora comincio a dare segni di asfissia.

Quando scrivi, ti figuri un pubblico ideale? Per chi scrivi?

È una domanda fastidiosa perché me la pongo spesso senza trovare una risposta. Vorrei poter dire con Orazio “mi basta l’applauso delle prime file”, ma nemmeno quelle mi applaudono, ammesso che esistano ancora.

Visti i tuoi interessi, la prima impressione che si ha è di un alfiere della rivoluzione estetica. È corretto? Il mondo lo salverà la bellezza?

“Rivoluzione” è parola che non mi piace perché porta con sé, inevitabilmente, rumore e violenza. “Restaurazione” mi disturba meno ma non credo possibile nessuna restaurazione. Il mondo, e quando dico mondo intendo l’insieme delle persone normali, odia la bellezza quindi non accetterà mai di farsi salvare da lei. Io invece ho un bisogno quotidiano e fisico di bellezza e cerco di farmi salvare almeno la giornata, comprando una camicia bella, bevendo da un bicchiere bello…

Cos’è innanzitutto l’arte: rottura delle apparenze, ornamento del mondo o tributo al divino?

Tanti pensatori si sono rotti la testa cercando una definizione, io mi trovo abbastanza d’accordo con Roger Scruton, l’arte come ciò che rende bello il brutto, e Andrea Emo, la pittura come alchimia che trasforma ogni cosa in sostanza preziosissima. A pensarci bene sono concetti molto simili, aventi a che fare con l’elevare, l’eternizzare, il consacrare. Abbastanza ovviamente detesto l’arte dissacratoria, facile e idiota come tutte le entropie.

Come nasce la tua smodata passione per l’arte?

Non è poi così smodata, io sono oraziano, “est modus in rebus” è uno dei miei motti. Ma certo non posso non amare una pratica che eroicamente combatte la morte: attraverso il ritratto, ad esempio, di cui sono cultore.

Sei un perito agrario orgoglioso di non aver mai messo piede in un liceo né in un’università, fino a definire la laurea un marchio di infamia. È preferibile l’autodidattica?

È preferibile studiare senza pesare sul contribuente, è preferibile studiare senza farlo pesare al prossimo con la saccenza e l’esibizione di titoli, è preferibile studiare ciò che si ama anziché ciò che viene imposto, è preferibile studiare senza umiliarsi davanti a uno Stato che pretende di certificare le conoscenze dei suoi sudditi, è preferibile studiare con autori immortali anziché con professori che verranno giustamente dimenticati appena giunta l’agognata pensione, è preferibile studiare sempre, tutta la vita, mentre certe lauree invogliano a non aprire più un libro, incoraggiano l’ignoranza.

Parliamo di Chiesa. Hai espresso molte perplessità su Papa Francesco. I suoi pregi, veri o presunti, sono celebrati continuamente, soprattutto dai non credenti. Quali sarebbero invece i suoi difetti?

Davvero Papa Bergoglio viene celebrato di continuo? Non so proprio come facciano, i laudatori. A me sembra così evidentemente privo di carisma, di pregi umani oltre che di meriti religiosi. Ma dei pur pesanti difetti caratteriali non parlo. Il problema non è certo psicologico bensì teologico, legato alle innumerevoli dichiarazioni, agli innumerevoli documenti contenenti minime tracce di cristianesimo e forti dosi di indifferentismo, socialismo, comunismo, ambientalismo, panteismo… Però sia chiaro che non attribuisco a Bergoglio tutte le colpe della presente catastrofe religiosa. Considero il suo pontificato più un effetto che una causa, l’apostasia è in gran parte precedente e la perdita della fede desertifica quasi nello stesso modo ogni livello ecclesiastico, i cardinali, i vescovi, i semplici sacerdoti, i laici, tutti.

Giovanni Gasparro, “Uomo in tabarro. Ritratto di Camillo Langone”.
Olio su tela,  90×70 cm, 2015. Parma, Collezione Camillo Langone

Tuffo in politica. In più occasioni hai confessato fascinazioni monarchiche. Cos’ha una monarchia che una repubblica non può avere?

Ha un capo che non è mai stato un caporale, che non ha dovuto sgomitare e mentire per arrivare in alto. Un po’ più credibile di un politico democraticamente eletto, e molto meno fazioso. Un re tende a rappresentare l’unità della nazione, non la tracotanza di una maggioranza. E’ un simbolo equilibrante.

Tre libri che dovremmo leggere e perché.

Sono contrario ai libri obbligatori, la lettura dev’essere un piacere. Diciamo che mi piacerebbe frequentare persone che leggano e amino l’Ecclesiaste. Come vedi mi basterebbe anche un libro solo ma se proprio ne vuoi tre aggiungo le Satire di Orazio e Pinocchio di Collodi.

Il tuo prossimo libro?

Ho molti “prossimi libri” e questo mi fa temere di non riuscire a finirne nemmeno uno. A essere più precisi, ho molti prossimi titoli. Eccone qualcuno: “A Londra non c’è”, “Promemoria”, “La ragazza immortale”, “Preferisco Sesana a Cézanne”, “La cura del Vangelo”, “Parma o la ricerca dell’anolino perfetto”…

A parte “Scambio coppie con uso di cucina”, pubblicato nel 2003 per le squisite edizioni SE, hai sempre scritto saggi. Tornerai mai al romanzo?

Vorrei, ma per scrivere un romanzo ci vuole un mucchio di tempo che io non ho e che mi sembra immorale sottrarre ad altre più ragionevoli attività.

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