Dottor Ruvinetti, il mondo guarda in questi giorni all’Ucraina. Ma anche la Libia si sta infiammando. E questo per le dinamiche energetiche che si sono aperte con la crisi a Est può aprire scenari complessi, non trova?
Assolutamente sì, bisogna guardare con maggiore attenzione alla Libia proprio a causa della crisi in Ucraina. Dico da tempo che bisogna leggere la complessità delle crisi. Siamo in un momento decisamente critico per la Libia. Si è creata una situazione scivolosa e complessa. L’accordo sui 75 delegati che rappresentavano le varie anime della Libia, mediato dall’Onu, ha prodotto un governo che non gode di piena legittimazione nel Paese. Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh avrebbe dovuto traghettare la nazione ad elezioni col suo governo, ma il voto del 24 dicembre non si è tenuto. Questo perché ci sono stati diversi politici libici che hanno preferito favorire il mantenimento dello status quo di un Paese diviso, e inoltre la candidatura di Saif al-Islam Gheddafi ha intimorito molti attori, essendo ritenuta destabilizzante. Questo ha creato un blocco che ha di fatto impedito lo svolgimento delle elezioni.
Che processo ha bloccato il mancato svolgimento delle elezioni sull’asse della discordia Tripoli-Tobruk?
Era iniziata un’operazione intralibica: noi ricordiamo benissimo, per fare un esempio, che Misurata è la roccaforte militare dell’Ovest, le cui milizie nel 2019 hanno fermato Khalifa Haftar alle porte di Tripoli. Ebbene, le milizie di Misurata hanno storicamente sostenuto Bashaga, che il Parlamento sostiene come premier in opposizione a Dbeibeh. Si è innescato un percorso che ha visto al centro due personaggi legati a Misurata, Bashaga e l’ex vicepremier Matig: il secondo ha riaperto i flussi di petrolio facendo un accordo con Haftar per salvare l’economia libica. Il primo ha, con il sostegno dell’Egitto, organizzato un incontro a Bengasi con i candidati alle elezioni del fronte Est della Libia. Nei fatti questo ha però dato il gancio al Parlamento per nominare un suo governo ad hoc, delegittimando Dbeibeh, premier riconosciuto internazionalmente ma che manca di consenso interno. Il vero problema è sorto quando Bashaga ha presentato la lista dei ministri, ritenuta eccessivamente debole. Una votazione discussa e contestata che ha dato a Dbeibeh l’assist per contestare la manovra libica interna contro il governo riconosciuto dalla mediazione Onu.
L’Onu come si è mossa su questo processo?
Per bocca del Segretario Generale Antonio Guterres hanno preso posizione dichiarando di non poter riconoscere almeno per ora un governo diverso da quello uscito dal Forum di dialogo voluto dall’Onu stesso, specie di fronte a una votazione poco trasparente.
Quindi, grande confusione sotto i cieli libici…
Si, abbiamo un governo votato dal Parlamento ma non si sa se in forma legittima, ovvero con consensi oltre il quorum, o meno, che rivendica Tripoli; dall’altro, il governo promosso dall’Onu che si appella al mancato svolgimento delle elezioni del 24 dicembre per restare in sella. Anche Dbeibeh, notiamo, è misuratino. La comunità internazionale è ovviamente in grande imbarazzo. Gli unici che hanno riconosciuto in pubblico Bashaga esplicitamente sono i russi, mentre quest’ultimo non è ancora entrato a Tripoli anche perché Dbeibeh è forte dell’appoggio della Turchia, presente in Libia dai tempi del governo Serraj con il contrasto all’offensiva di Haftar. I turchi sono installati in Tripolitania e puntellano il governo Onu, vedendo la mossa del governo Bashaga come una manovra filo-egiziana. Continua a esserci uno schieramento complesso in cui sono le potenze esterne a tirare le fila della Libia. Oggi siamo di fronte al rischio del 2014, quando Tripolitania e Cirenaica avevano due governi divisi in lotta tra di loro in un contesto di guerra civile. In questo quadro l’Onu si è inserito con l’inviata Stephanie Williams cercando di ricostruire un dialogo per prevenire il peggio, e anche gli Stati Uniti stanno provando a dare un sostegno.
Quale sarà l’obiettivo di questo dialogo?
L’unica salvezza per la Libia sarebbe lo svolgimento di elezioni che legittimino il riconoscimento dal basso di un governo nazionale. A questo mira la mediazione, a evitare che si succeda una serie di governi transitori a legittimità azzoppata. Ora però c’è una situazione di stallo in cui Dbeibeh è arroccato a Tripoli e Bashaga che cerca di insediarsi a Tripoli evitando scontri armati, privo però per ora dei cordoni della borsa legati alla Banca Centrale Libica. È certamente particolare che a Est, da Bengasi, sia un misuratino, nato vicino Tripoli, a reclamare il governo.
E in quest’ottica chi ha in mano la cassa della rendita petrolifera?
La National Oil Company non mette più i profitti della rendita petrolifera nelle casse della Banca centrale da diversi mesi, ma li carica su un conto della Lybian Foreign Bank per salvaguardare riserve ritenute di tutti i libici. La NOC fa da garante per evitare di fare entrare i proventi del petrolio nella tribalizzazione della politica.