Klaus Schwab è forse uno degli uomini meglio connessi con gli ambienti di mezzo mondo, nonché forza trainante del World Economic Forum: l’organizzazione internazionale per la cooperazione tra pubblico e privato. Nell’ovile di Davos, Schwab ha corteggiato capi di Stato, importanti dirigenti aziendali e le élite dei circoli accademici e scientifici per oltre cinquant’anni. Sostenitore del Great Reset – uno sforzo radicale per ricostruire la civiltà a livello globale – Schwab fondò il forum nel 1970.
In quell’anno il giovane Klaus Schwab scrisse alla Commissione Europea per chiedere un aiuto nella creazione un “think tank non commerciale per i leader aziendali europei”. La commissione si prestò a sponsorizzare l’evento inviando il politico francese Raymond Barre a fungere da mentore intellettuale del forum. Barre, che all’epoca era commissario europeo per gli affari economici e finanziari, sarebbe poi diventato Primo Ministro francese, e accusato in seguito, mentre era ancora in carica, di antisemitismo.
Così, nel medesimo anno, Schwab lasciò l’azienda di famiglia – la Escher Wyss – per organizzare una conferenza manageriale aziendale di due settimane, che si tenne a Davos, in Svizzera, nel 1971 e che fu il primo meeting del World Economic Forum, allora chiamato European Management Symposium. All’incontro presero parte circa 450 tra manager di varie aziende, politici e accademici, provenienti da 31 Paesi. Il progetto è stato registrato come organizzato da Klaus Schwab e dalla sua segretaria Hilde Stoll che in quello stesso anno sarebbe diventata sua moglie.
Ganga Jey Aratnam (esperto di social medicine e sociologia presso l’Università di Basilea) nel 2018 dirà: «Lo “Spirito di Davos” di Klaus Schwab era anche lo “Spirito di Harvard”». Sì, perché non solo la business school aveva sostenuto l’idea di un simposio, ma il famoso economista di Harvard, John Kenneth Galbraith, aveva parlato dell’esigenza di pianificare il capitalismo e di un riavvicinamento tra Oriente e Occidente.
Non era la prima volta che Davos ospitava eventi del genere. Tra il 1928 e il 1931, infatti, all’Hotel Belvédère si svolsero le Conferenze dell’Università di Davos, eventi che furono co-fondati da Albert Einstein e interrotti solo dalla Grande Depressione e dalla minaccia di una guerra incombente.
A fornire lo stimolo per la creazione del simposio di Klaus Schwab è stato il Club di Roma, un influente think tank dell’élite scientifica e finanziaria che rispecchia in molti modi il World Economic Forum, soprattutto nella sua promozione di un modello di governance globale guidato da un élite tecnocratica. Il Club era stato fondato nel 1968 dall’industriale italiano Aurelio Peccei e dal chimico scozzese Alexander King, durante un incontro privato in una residenza di proprietà della famiglia Rockefeller a Bellagio, in Italia. Tra i suoi primi risultati, ci fu un libro pubblicato nel 1972, intitolato “I limiti dello sviluppo” che si concentrava in gran parte sulla sovrappopolazione globale. L’opera avvertiva che «se i modelli di consumo del mondo e la crescita della popolazione fossero continuati agli stessi alti ritmi, la terra avrebbe raggiunto i suoi limiti entro un secolo».
Al terzo convegno del World Economic Forum, nel 1973, Peccei tenne un discorso riassuntivo del libro che il sito del WEF ricorda come l’evento caratterizzante di questo storico incontro. Nello stesso anno, il Club di Roma pubblicò un rapporto che descriveva in dettaglio un modello adattivo per la governance globale, che auspicava l’organizzazione del mondo in dieci regioni economico/politiche interconnesse. Negli anni, il Club di Roma è stato a lungo controverso per via della sua ossessione per la riduzione della popolazione globale, che i critici hanno descritto come influenzata dall’eugenetica. Tuttavia, nel libro The First Global Revolution del 1991, il Club di Roma sosteneva che tali politiche avrebbero potuto ottenere il sostegno popolare se le masse fossero state in grado di collegarle a una lotta esistenziale contro un nemico comune.
A tal fine, l’opera contiene un passaggio intitolato «Il nemico comune dell’umanità è l’uomo», che afferma: «Nella ricerca di un nemico comune contro il quale possiamo unirci, ci è venuta l’idea che l’inquinamento, la minaccia del riscaldamento globale, la scarsità d’acqua, la carestia e simili, avrebbero fatto al caso nostro. Nella loro totalità e nelle loro interazioni, questi fenomeni costituiscono una minaccia comune che deve essere affrontata facendo fronte comune. Tutti questi pericoli sono causati dall’intervento umano nei processi naturali, ed è solo modificando atteggiamenti e comportamenti che questi problemi possono essere superati. Il vero nemico quindi è l’umanità stessa».
Negli anni successivi, l’élite che popola il Club di Roma e il World Economic Forum ha spesso sostenuto che i metodi di controllo della popolazione sono essenziali per proteggere l’ambiente. Non sorprende, quindi, che il World Economic Forum utilizzi allo stesso modo le questioni del clima e dell’ambiente per commercializzare politiche ritenute necessarie che sarebbero altrimenti impopolari, come quelle del Great Reset.
Si può, dunque, dire che il passato è il prologo. Sì, perché dalla fondazione del World Economic Forum, Klaus Schwab è diventato una delle persone più potenti del mondo e il suo Great Reset ha reso più importante che mai scrutare a fondo quest’uomo. Nel 2006 pronunciò parole profetiche: «La conoscenza sarà presto disponibile ovunque – io la chiamo la googlizzazione della globalizzazione. Non è più quello che sai, è come lo usi».
(tratto da un articolo di Johnny Vedmore, pubblicato su Unlimited Hangout il 20 febbraio 2021)