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Assalto al Palácio do Planalto

Il Brasile ha avuto il suo 6 gennaio. Jair Bolsonaro gioisce a distanza, ma il vero vincitore della partita potrebbe essere Lula. Alcuni condannano la sollevazione di Brasilia per genuina vicinanza, altri per timore di essere le prossime vittime del morbo del Campidoglio.
Il Brasile ha avuto il suo 6 gennaio. Jair Bolsonaro gioisce a distanza, ma il vero vincitore della partita potrebbe essere Lula. Alcuni condannano la sollevazione di Brasilia per genuina vicinanza, altri per timore di essere le prossime vittime del morbo del Campidoglio.
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Nelle pagine dei futuri libri di storia del Brasile si scriverà dell’8 gennaio 2022 come del giorno del ritorno della violenza politica nel paese verdeoro. Una riedizione in chiave contemporanea della sollevazione integralista dell’11 maggio 1930, con Jair Bolsonaro al posto di Plinio Salgado, che mescola elementi dell’autunno caldo che spianò la strada al colpo di stato contro João Goulart.

Il Brasile ha una lunga tradizione di violenza politica degli opposti estremismi ed è il paese del Latinoamerica più simile per fisionomia e antropologia agli Stati Uniti. Democrazia multirazziale comandata da potentati economici e oligarchie familiari, fondata su fragili contraddizioni e contraddistinta dall’alternanza di grattacieli e baraccopoli. Il Brasile è il clone pardo e lusofono degli Stati Uniti.

Non sorprende, alla luce delle similitudini intercorrenti con gli Stati Uniti, che la prima vittima eccellente del morbo del Campidoglio sia il Brasile. Contagio di cui gioisce Bolsonaro, emulo di Donald Trump che serba in segreto (di Pulcinella) un ritorno al potere e confida nelle alleanze siglate con neoprotestanti, grandi industriali e militari con la nostalgia dei gorillas, che non dispiace a Biden – perché, condanne di circostanza a parte, l’imperativo sempiterno della politica estera americana resta il divide et impera nel vicinato meridionale –, e del quale potrebbe trarre profitto il redivivo Lula, ora giustificato dall’assalto di Brasilia ad operare delle purghe nei gangli del potere infiltrati da bolsonaristi, macedisti e fascisti.

Dove va il Brasile, l’America Latina segue.

Richard Nixon

In Brasile è ritorno al passato, da qualche parte tra l’Intentona integralista del 1930 e la Marcha da Família com Deus pela Liberdade del 1964, ma il morbo del Campidoglio potrebbe colpire chiunque e ovunque. Perché è guerra civile sia in Occidente sia nel resto del mondo. Guerra civile occidentale. Guerra civile globale. Conservatori contro progressisti. Lo spettro di un 6 gennaio aleggia su quei paesi che hanno contezza di essere divisi, lacerati e polarizzati, cause guerre culturali che vanno entrando nel vivo, influenze maligne dal circondario e operazioni cognitive di potenze rivali.

Il morbo del Campidoglio è il trasferimento dei sentimenti antisistema delle frange più conservatrici delle società dalla rete alle piazze. È la leboniana follia delle folle che prende il sopravvento per un momento, quanto basta per mostrare al Potere le sue fragilità, assaltando ciò che per lo Stato è più simbolico e rappresentativo: i palazzi istituzionali.

La seconda vittima del morbo del Campidoglio, tra le manifestazioni più iconiche della guerra civile occidentale, potrebbe essere un paese latinoamericano oppure europeo. Perché ogni fenomeno che nasce nel centro, in questo caso gli Stati Uniti, inevitabilmente si riverbera nelle periferie. Meccanismi centrifughi degli imperi.

Quando gli Stati Uniti starnutiscono, il resto dell’Occidente prende il raffreddore.

Il morbo del Campidoglio non si sta manifestando soltanto negli attacchi ai simboli istituzionali, che negli ultimi anni sono aumenti di frequenza e violenza, ma anche in forme meno riconoscibili e apparentemente nulla aventi a che fare con la violenza politica organizzata. Il morbo del Campidoglio è la divisione delle società in opposti estremismi. Ed è anche la comparsa di nuove forme di terrorismo, come il cittadino in armi contro il mondo.

Non si può comprendere il 6 gennaio, l’11 settembre delle democrazie, senza parlare delle sottoculture che si nutrono di cospirazionismo e ambiguo estremismo di destra, come QAnon, e sguazzano nell’apologia del terrorismo. Nella speranza che un lupo solitario agisca. Nell’attesa della goccia che faccia traboccare il vaso, portando le folle in strada e legittimando l’anarchia per un giorno.

Il 6 gennaio è la rabbia contro i soprusi di Stati percepiti come distanti dal paese reale. È la violenza del cospirazionismo che ha percezioni distorte della realtà, che propaganda, operazioni psicologiche e guerre cognitive possono accentuare sino a dar vita fenomeni di radicalizzazione. È l’extrema ratio dei vinti che non accettano la sconfitta e confidano nei semi della zizzania che hanno piantato. È uno degli indicatori dello stato di salute di una democrazia.

Il 6 gennaio è collegato all’evento spartiacque della storia recente: la pandemia di COVID19. Perché un filo rosso lega Brasilia 2023 e Washington 2021, così come i poco mediatici – perché non golpistici – Berna 2021, Bucarest 2021 e Sofia 2022, e quel filo è l’adesione dei rivoltosi antisistema al sottobosco cospirazionistico. I primi frutti della neonata età delle guerre cognitive. Società fratturate e radicalizzate da cocktail esplosivi di  complottismo e disinformazione. Preludio dell’epoca che attende il mondo all’orizzonte.

Ieri gli Stati Uniti, oggi il Brasile, domani potrebbe essere (quasi) chiunque. Magari un paese della nuova Europa, come la polarizzata Polonia, o forse uno che è afflitto da tensione sociale permanente, come la Francia. Il morbo del Campidoglio potrebbe assumere la forma di un attacco alle istituzioni, di guerre civili molecolari all’americana o di attacchi di terroristi fai-da-te. Comune denominatore: la volontà di ferire il sistema. Elemento ricorrente: la presenza di forze politiche che si nutrono del disagio del “paese profondo” per assumere il controllo delle istituzioni, o per prolungarlo, e creano mostri coi quali mantengono volutamente un atteggiamento ambiguo.

Un lungo inverno è alle porte. L’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 era soltanto l’inizio. Le democrazie non sono al sicuro, perché malaticce da tempo, perché sotto l’influenza di ogni tendenza che prende piede negli Stati Uniti e perché più vulnerabili di altri regimi politici alle operazioni di destabilizzazione sociale di matrice cognitiva. Un lungo inverno è alle porte e il calendario segna autunno.

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