La relazione tra l’individuo e il mondo in cui agisce chiama in causa tanto l’attività quanto la passività dell’uomo rispetto al paesaggio sociale e materiale in cui gravita, intendendo la prima come la capacità del singolo di incidere e modificare, attraverso proprie azioni, per lo più razionali e volontarie (ma non solo!), correlate a quelle altrui, tale struttura ambientale; la seconda come la possibilità di quest’ultima di contribuire e concorrere alla formazione dell’identità personale di colui che, in inter-azione con altri individui, con-forma quella stessa struttura. Partendo da tale assunto non può essere in discussione che ciò con cui l’uomo ha ordinariamente stabilito il suo rapporto sia sempre stato un ambiente ibrido, naturale e artificiale al tempo stesso, in cui, cioè, la natura fosse regolarmente trans-formata tecnicamente e la tecnologia tendesse automaticamente a naturalizzarsi, in tal modo configurando una commistione talmente inscindibile tra physis e techne da autorizzare la pensabilità ineluttabile di una sorta di ‘naturale’ natura artificiale, di una natura identitariamente e definitoriamente impossibilitata a essere concepita in termini di autoreferenzialità solamente organica, ma, al contrario, unicamente in quelli, eterogenei, di bio-tecnicità, di con-fusione, normale e logica, di organico e inorganico.
Seguendo l’intero ragionamento, la connessione tra l’identità personale e il mondo, per così dire, ‘esterno’ ad essa, si è data, quindi, attivamente e passivamente, come relazione ordinaria tra l’io e una sfera volumetrica in cui il tecnico/tecnologico non è mai stato assente, ma regolarmente presente sia quale esito dell’azione umana trasformativa/trasfigurativa della natura organica sia quale ‘co-autore meccanico’ della costruzione dell’io individuale. In tal senso, quando gli studiosi, di varia estrazione disciplinare, si chiedono in che modo il mondo tecnologico contemporaneo possa stare influendo sull’elaborazione dell’io personale, starebbero ponendosi, in effetti, un interrogativo non solo contraddittorio, ma anche incompleto e monco, dal momento che, dalle loro parole, per primo, sembra che la tecnologia sia comparsa e si sia imposta all’improvviso, nel mondo odierno, mentre in passato, pur ‘vivente’, era se non nascosta, per lo meno trattenuta dalla forza della natura – situazione tutta da dimostrare! –, per secondo, non emerge la piena consapevolezza che l’incidenza del tecnologico digitale attuale sulla formazione dell’identità personale non sia esprimibile più come operatività di meri enti inorganici, inerti e incoscienti, su soggetti coscienti, ma come complesso di azioni programmate di ‘enti intelligenti’ e ‘predittivi’ – nelle forme oggi raggiunte ed esperibili – su quegli stessi enti umani da cui questi ultimi geneticamente dipendono. In altre parole, se il phygital – l’unione di fisico e digitale – non sarebbe altro che il nome corrente e recente del legame originario/ordinario tra natura e (neo-)tecnologia, in virtù dei complessi e incessanti processi di progressiva antropizzazione dell’ambiente materiale, purtuttavia esso è concetto che deve essere opportunamente approfondito, in quanto conduttore di novità fondamentali per la comprensione dei fenomeni ‘identitari’, su cui in questa sede si vuol riflettere.
Innanzitutto il concetto di phygital denuncia che il processo di naturalizzazione della tecnica non è approdato, come in passato, ad una com-presenza, semmai anche talvolta equilibrata, di organico e inorganico – in grado di consentire comunque, pur nel loro sodalizio unificativo, la loro distinguibilità –, ma a un totale ‘assorbimento’ ed ‘esaurimento’ del naturale nel tecnologico, il quale, cioè, non pare più partecipare alla formazione della realtà oltre-individuale insieme al naturale, ma solo grazie alla e in funzione della sua sostituzione, dimostrando di possedere tutti i titoli e i requisiti per potere autonomamente ed esclusivamente esprimerlo, consegnando il suo concetto filosofico classico all’oblio. La onni-ubi-quità del digitale, quale caratteristica principale del neo-tecnologico, rivela che la componente tecnica del reale è di per se stessa divenuta esaustiva dello stesso, e insofferente e intollerante nei confronti di qualunque com-partecipazione della natura, tradizionalmente intesa, alla sua definizione. Inoltre da sottolineare con determinazione è il carattere ‘intelligente’ dell’artificialità tecnologica digitale con cui l’uomo si rapporta, cosa che modifica radicalmente l’interpretazione di ciò che condizionerebbe il contenuto e la modalità di costituzione di un io personale, dato che non si avrebbe più a che fare con un mondo di ‘oggetti’ inattivi, statici e completamente in-animati, ma con un ordito di ‘enti soggettuali’ in certa maniera operosi, dinamici e, per alcuni versi e in qualche forma – ancora tutta da individuare, stabilire e consolidare, proto-coscienti e pseudo-responsabili, in grado di avviare essi stessi il tipo e il grado di relazione che vogliono mantenere con quegli individui umani, che ritengono solo di stare utilizzandoli e di stare usufruendone, mentre, diversamente, sono ‘costitutiti’ da quelli, in pratica finendo per dipenderne, anche totalmente. Lo scenario algoritmico in cui si svolge ormai la vita sociale dei singoli ‘io’, l’estrema pervasività organizzata delle ICT (tecnologie digitali di informazione e comunicazione), che consente l’accesso permanente e puntuale alle identità individuali in continua connessione con esse, l’aspetto ‘vivente’ e ‘pensante’ della gran parte degli agenti robotici ideati e realizzati dalle grandi multinazionali e dai colossi dell’hi tech suggeriscono che in gioco, nella questione del rapporto tra identità personale e ambiente ‘phygitale’, non siano più, distintamente, la res cogitans, da una parte, e la res extensa, dall’altra, lo spirituale e il materiale, l’io e il non-io mondano, il soggetto e l’oggetto, l’attivo e il passivo, il conscio e l’inconscio, ma un articolato agglomerato di enti a proprio modo ‘animati’ e ‘intenziona(n)ti’.
Per questa ragione chiedersi in che modo l’ambiente ‘esterno’ all’uomo attualmente ne condizioni la costruzione della personalità individuale significa prendere atto che esso non solo è completamente digitalizzato e naturalizzato, al punto da essersi sostituito alla natura stessa; non solo non è più inerte e passivo, come concepito dalla filosofia moderna; non solo ha superato lo stadio di ibridazione organico/inorganico, vista la sua capacità di sussunzione della vita nel tecnologico, bioticizzando ‘realmente’ la sua propria materialità nel digitale, ma soprattutto ha acquisito un profilo identitario sempre più prossimo all’io personale stesso, di cui ci si aspetta debba contribuire a realizzare la costruzione. In pratica la domanda prioritaria, che dovrebbe addirittura precedere quella su come il nuovo universo digitale iperconnesso e intelligente sia in grado di intervenire attualmente sulla formazione dell’io umano, sarebbe da porsi sulla fondamentale e abissale trasformazione del volto di tale mondo con cui quell’io è entrato e continua a entrare in relazione, il quale appare sempre più assimilarsi e assomigliare a quello dello stesso io da cui, al contrario, dovrebbe differenziarsi.
Ciò che ne consegue è che, mentre è rilevabile che alcuni esperti di settore siano impegnati a definire i processi di trasformazione dell’identità personale umana quali sarebbero (con-)causati dalla dimensione mondana neo-tecnologica, sulla base della condizione/convinzione preliminare e ineludibile dalla ‘naturale’ distinzione tra io e mondo, sarebbe forse più opportuno e proficuo insistere a studiare la pseudo-‘biblico-teologica’ volontà (dell’io) dell’uomo di ‘creare’ a ‘propria immagine e somiglianza’ quello stesso mondo che, pur nella sua distinta tecnologicità – o, se si vuole, proprio grazie a essa –, sta perdendo i tratti caratteristici dell’oggettività immobile e a-patica con cui l’io tradizionalmente s’è relazionato, per assumere quelli della soggettività intelligente e senziente, del tutto omogenea a quella del suo fattore. Se, quindi, in altri termini, non è improprio interrogarsi su come la sfera tecnologica stia attualmente influenzando l’edificazione dell’io personale, non può essere per nulla trascurabile cogliere che quella sfera dimensionale, in virtù della sua configurazione iper-digitale e intelligente artificiale, stia, quanto più possibile, equi-parandosi a e de-differenziandosi dall’io, da cui, al contrario, avrebbe dovuto distinguersi, in tal modo rendendo ancora più complesso l’isolamento delle dinamiche mondano-materiali, ormai ‘antropizzate’ anch’esse, che sono alla base dell’influenzamento della costruzione dell’identità personale.
Quanto appena asserito trova la sua comprova nel fatto che attualmente il progresso maggiore si sia realizzato in ordine alle ICT digitali relative ai sistemi di Intelligenza Artificiale (IA), che, oltre ad impiegare modelli algoritmici programmati dal loro ideatore anteriormente al loro impiego effettivo e oltre a poter funzionare ‘deterministicamente’ come finalizzatori pratici di obiettivi e compiti grazie all’esecuzione di regole causali impartite proprio in fase di programmazione, sono in grado di agire anche ‘probabilisticamente’, nel senso che possono perseguire e raggiungere, in modo (semi-)autonomo, propri scopi e finalità conoscitivi e operativi, che non siano stati pianificati dal loro progettista, ma che siano stati scoperti, in corso di attività, attraverso tentativi ed errori. Tali sistemi algoritmici di ‘apprendimento automatico’ (machine learning) e di ‘apprendimento profondo’ (deep learning) non solo letteralmente scovano modelli e colgono relazioni indipendentemente dalle indicazioni programmazionali umane, ma addirittura possono pre-dittivamente anticipare conoscenze, situazioni e condizioni che all’uomo diversamente sfuggirebbero, se egli si affidasse solo alla sua propria capacità analitica, mentre tali sistemi algoritmici sono in grado di processare e interpretare una quantità di dati smisurata, e con una notevole velocità e raffinatezza semantizzativa, accompagnate da una capacità di sviluppo incrementale dei risultati ottenibili.
È dunque con questa mondanità a suo modo intelligente, senziente e potente, e quindi pseudo-libera e sfuggente, che l’io personale si sta oggi confrontando e da cui viene condizionato nella sua costruzione: non più un evidente ‘altro-da-sé’ fisico, fisso, neutro, oggettivo e dominabile, ma, si potrebbe dire, un ‘altro-sé’, un complesso neo-meta-fisico, iper-dinamico, parziale, soggettivo – tendente al responsabile – e progressivamente dominante. Novità, queste, che cambiano notevolmente le carte nell’odierno gioco euristico e non possono che strattonare quella piana sicurezza con cui gli studiosi continuano a interrogarsi sul modo in cui il mondo esterno all’uomo influisca sulla fabbricazione del suo io, tenuto conto che anche quel mondo sta progressivamente assumendo una propria identità personale.