La teologia politica non è mai morta. È una linea continua, piena di ripensamenti, che si interseca con le riflessioni sul destino dell’Occidente e del mondo. Rappresenta il nesso filosofico necessario tra la storia del cristianesimo, la fine del mondo romano e l’istituzione, la legittimità e il tracollo di nuovi sistemi di potere nell’Europa medievale e moderna. Proietta la parabola del pensiero occidentale in un susseguirsi di angosce apocalittiche e attese messianiche. Pubblicato come lavoro di ricerca che tenta per la prima volta di affrontare la “questione fondamentale” della teologia politica, Katechon. Filosofia, politica, estetica (Bollati Boringhieri, 2023) ad opera di Francesca Monateri, è una summa imprescindibile. Una chiave di lettura che fonde i timori e le speranze del crepuscolo romano con le aspettative dell’Europa di fine Ottocento e inizio Novecento. E si connette, inevitabilmente, con il Katechon in salsa slavofila e messianica russo e con l’ordine globale ritenuto, ad oggi, unica ed ultima barriera ad un caos altrimenti inarrestabile. Che cos’è, dunque, in primo luogo il Katechon?
«Si tratta di una forza che non potrebbe dirsi né positiva né negativa, poiché svolge un’azione positiva, ma negativamente. Essa è positiva perché allontana il male, ma è negativa perché, finché esercita la propria azione, il Regno dei cieli non può affermarsi su questa terra. La doppia natura di questo potere, allora, è ciò che continua a sedurre il dibattito contemporaneo.»
La questione di fondo dell’intera teologia politica occidentale è dunque il dibattito tra un ordine positivo, che trattiene il caos, e una forza negativa che impedisce alla Salvezza Eterna di manifestarsi. Fu Carl Schmitt ad occuparsi in maniera preponderante dell’argomento, elemento centrale della sua riflessione politica. Il Katechon è strutturalmente positivo, ma destinato a dissolversi in un romanticismo della forma, di stampo borghese, incapace di preservare istituzioni ecclesiastiche o argomentazioni giuridiche. Il Katechon è dunque una sovrastruttura essenziale dal fortissimo valore estetico-politico. La ricerca di Schmitt è essenzialmente inerente a quale forma avrebbe dovuto assumere un’epoca percepita come di dissoluzione nichilista. Laddove ne La lotta per i grandi spazi e l’illusione americana (1942), Schmitt sottolinea l’incapacità degli Stati Uniti ad assurgere a katechon del mondo moderno, perché incapaci di percepire i tempi correnti, in Cattolicesimo romano e forma politica (1923) il giurista tedesco evidenzia come il Katechon si realizzi solo in quanto
«Forza centripeta capace di creare una forma valida per il presente in cui arte, diritto e senso storico siano tenuti insieme come mezzi di autocomprensione di un’epoca e dei modi in cui si autorappresenta.»
Punto di partenza delle riflessioni concernenti il Katechon, è tuttavia la tradizione evangelica, in particolare le lettere di Paolo e le riflessioni di Ireneo e Tertulliano. La matrice totalmente positiva del Katechon che si evince dalla riflessioni di Schmitt, emerge in verità da un contrasto tra le diverse interpretazioni del destino della nascente comunità cristiana e del mondo, in seno all’Impero romano. Si connette, in primo luogo nelle riflessioni di Ireneo, con la figura dell’Anticristo. Il Katechon assume dunque una funzione positiva o negativa a seconda di ciò che contrasta. Laddove ostacola la realizzazione del Regno di Dio è una forza negativa, altrimenti si oppone positivamente ad una fine caotica. L’Anticristo di Ireneo è una forma ordinatrice alternativa all’ordine del Regno di Dio. In Tertulliano, tale forza si è identificata specialmente con l’Impero romano e diviene integralmente positiva: «Roma è il katechon e salva il presente da una fine che nessuno vorrebbe vivere.»
Descrivendo i primi secoli dopo Cristo come pervasi da una sentita ansia messianica, Taubes, altro esponente e lettore del Katechon, sottolinea la pressione e l’attesa del Regno di Dio ostacolato dal Katechon stesso:
«L’attesa di un ritorno, di un Regno, del realizzarsi di una promessa, scuote gli animi e le lettere di Paolo ne sarebbero la dimostrazione più esplicita. In questo quadro, il katechon è il modo di spiegare la dilazione dell’evento messianico, è l’ultimo ostacolo che impedisce l’irrompere del Regno di Dio, atteso ma non presente, promesso ma non attuale, eppure tanto vicino da poter essere percepito.»
Paragonata alla Quarta bestia dell’Apocalisse, Roma assume dunque questa valenza, ritardando la fine del mondo e la salvezza eterna. Sono le immagini, come evidenzia Monateri, a rappresentare con grande efficacia l’evoluzione del concetto stesso di Apocalisse nella cultura e nella tradizione cristiana. Le prime raffigurazioni apocalittiche sono quasi totalmente positive: mostrano il Regno divino nella sua dimensione atemporale. La storia è destinata a concludersi in un Tutto trionfale, nel ritorno del Cristo sulla terra. Successivamente subentra l’angoscia della fine, come nell’Apocalisse di Treviri – copia fedele del IX secolo di un codice del V secolo – in cui l’Apocalisse di Giovanni viene rappresentata in maniera spaventosa. La fine diviene un principio di caos.
Se le prime immagini appartengono ad un cristianesimo più appartato e ancora sicuro del ritorno del Cristo sulla terra, l’Apocalisse negativa segue alla definitiva affermazione del cristianesimo come religione dell’Impero romano. Eusebio legittima come l’ordine terrestre, più che farsi da parte, debba trattenere e replicare l’ordine celeste, come a partire da Costantino:
«Questi [Costantino] è il signore di tutto il cosmo, il Logos di Dio che si muove su tutte, per tutte in tutte le realtà visibili e invisibili; da lui e per lui, l’imperatore caro a Dio, portando in sé l’immagine del Regno superno a imitazione dell’Onnipotente tiene ferme le redini e governa le cose sulla terra.»
La legittimazione dell’ordine terrestre si consolida così in Occidente. Si riafferma nell’Impero franco-carolingio, nel Sacro Romano Impero e nel papato. Si riflette, nostalgico, nelle parole di Dante Alighieri nel De Monarchia. La cristianità diviene legittimazione di un ordine mondano, politicamente corrispondente al Regno di Dio. Diviene struttura tradizionale e impianto essenziale della Res publica christiana medievale. Se però tale architettura politica si dissolve ideologicamente e politicamente all’insorgere degli Stati e delle monarchie euro-occidentali, la percezione e l’interpretazione del Katechon permangono nel troncone orientale del Vecchio Continente. Qui l’eredità bizantina edifica la percezione ordinatrice, cristiano-ortodossa degli zar di Russia. La Russia raccoglie un testamento di ordine e di redenzione messianica “purificatrice”, lo fa proprio ergendosi come un Leviatano e un’autocrazia necessaria. Autocrazia hobbesiana e catecontica ad un tempo, ne viene percepita la sfumatura oppressiva, identica a quella che Ivan Karamazov scorge nelle strutture della Chiesa romana e dunque nel Katechon occidentale:
«Secondo l’Inquisitore, l’errore anomico di Cristo è stato rifiutare la bandiera del pane terreno che lo avrebbe portato a esser riconosciuto come re. Proprio per questo, il Messia non può mantenere l’ordine, né dare forma al proprio Regno mentre il katechon-Inquisitore è l’unico ordine terreno possibile.»
L’Inquisitore, secondo Sergej Nikolaevic Bulgakov, è paragonabile soltanto al pensiero di Nietzsche, alla necessità di negare un’eguaglianza etica degli uomini, al mantenimento di ordine gerarchico e terreno necessario a impedire il propagarsi incontrollabile del caos. In Dostoevskij però, tali letture si intersecano con l’apocalittica russa, con la sua percepita tragedia e con la sua ansia di distruzione, come evidenzia Berdjaev, ex marxista rivoluzionario, nel 1921:
«Perisca la verità se con la sua distruzione il popolo vivrà meglio, se gli uomini saranno più felici.»
Socialismo, cristianesimo messianico e nichilismo convergono in una richiesta di caos che è desiderio di totale sovvertimento del Katechon. La dottrina politica russa sembra convergere, nelle letture occidentali contemporanee del Katechon, con una esigenza di sconfiggerlo: il nichilismo è la tendenza ad una totale caducità, alla restaurazione di una sorta di armonia edenica. Un accelerazionismo ante-litteram sembra emergere da simili letture. Decomposizioni caotiche, occidentale e russo-orientale, si interfacciano nella storia della teologia politica fino ai più recenti eventi geopolitici, tra il terrore dell’Apocalisse nucleare, “necessaria” al Katechon russo, e l’incubo e le paranoie di una inarrestabile dissoluzione del mondo Occidentale. Come sottolinea Monateri, sono ancora e ad Aeternum i miti e le loro nemesi a presentarsi vivi e vegeti, a saper dettare nel frastuono della modernità le agende e l’estetica della politica contemporanea. Conservare l’Ordine, difenderlo, oppure sovvertirlo. Temere il Caos oppure ambirlo. Mantenere la Struttura o lasciarla decomporre fino alla morte:
«Verrebbe da chiedersi se molte delle narrazioni moderne, con la loro grande capacità identificante, non siano un surrogato del katechon perduto.»