Considerando i grandi pensatori della storia, non solo economica, possiamo tranquillamente affermare che Adam Smith sia stato tra quelli le cui tesi abbiano subito le più grandi distorsioni, generando una mole incredibile di interpretazioni e fraintendimenti. Spesso le sue frasi sono state estrapolate dal contesto in cui erano state espresse, non sempre in buona fede, e ridotte a formulette pronte all’uso. Rientra sicuramente in questo caso la metafora più famosa usata dal filosofo scozzese, quella della “mano invisibile”, usata comunemente ancora oggi per magnificare i benefici dell’economia di mercato, e fin troppo spesso da chi non si è affatto preso la briga di leggere le opere di Smith.
Gli economisti ortodossi, o per usare una parola molto di moda “mainstream”, hanno reso il concetto di mano invisibile la colonna portante delle loro teorie. Nel loro pensiero il mercato è qualcosa che si assesta in maniera autonoma ed automatica. Domanda e offerta oscilleranno fino a trovare un “equilibrio generale” che sarà in grado di fornire la massima soddisfazione al maggior numero di persone possibile. Arrivano a tollerare, seppure a malincuore, che in alcuni limitati casi l’intrusione dei governi nel mercato sia necessaria, ma normalmente lo Stato viene considerato un nemico ed i suoi interventi dannosi. Secondo la teoria classica durante una crisi economica, prezzi, salari e tassi di interesse crolleranno. A fronte di questo le merci svalutate torneranno ad essere molto appetibili, la domanda crescerà e con questa la produzione e l’occupazione. Questo porterà alla lunga a prezzi troppo alti, che scoraggeranno la domanda e ad una nuova crisi, in un susseguirsi di momenti di espansione e di recessione economica, che però saranno solo temporanei. Fu l’economista svedese Knut Wicksell a usare per primo la metafora del cavallo a dondolo per definire questa situazione. Una volta colpito da un bambino, il cavallo a dondolo oscillerà avanti ed indietro, in maniera irregolare a seconda della forza dei colpi, ma prima o poi si fermerà nell’identica posizione di equilibrio. I colpi rappresentano gli shock esterni causati da eventi casuali, ed il cavallo a dondolo rappresenta l’interazione di milioni di persone con il mercato.
La “Mano Invisibile” viene quindi usata per definire il meccanismo per cui lasciando agire il mercato senza alcuna influenza esterna, si giungerà al punto di equilibrio, ovvero seguendo la metafora di Wicksell, il momento in cui il cavallo a dondolo si fermerà. Ma Adam Smith usò il termine “Mano Invisibile” solo una volta nella sua opera più importante La ricchezza delle Nazioni ed un’altra volta nel suo lavoro precedente La Teoria dei Sentimenti Morali. Alcuni studiosi, come la storica Emma Rothschild, arrivano ad affermare che Smith fosse addirittura ironico nell’esprimere quel concetto, visto che spesso nei libri del filosofo scozzese si fa riferimento ad un ruolo attivo del governo, necessario a creare le regole della società, ed al bisogno innato di sentirsi parte di una comunità e del desiderio di aiutare gli altri propri dell’essere umano. Ma un’analisi più approfondita del pensiero di Adam Smith ne rivela l’estrema complessità. Ecco che idee apparentemente in contrasto tra loro, diventano perfettamente compatibili se considerate nel loro insieme ed inserite nel percorso intellettuale del filosofo scozzese, ricchissimo di spunti originali.
Nato nel 1723 a Kirkaldy nella splendida regione scozzese del Fife, Adam Smith studia filosofia all’Università di Glasgow ed in seguito a quella di Oxford. Si dedicherà all’insegnamento di logica e filosofia fino al 1764, anno in cui abbandona la carriera accademica per dedicarsi all’educazione di un giovane di una importante famiglia nobile scozzese. Grazie a questo incarico ha la possibilità di viaggiare in Europa e di soggiornare per alcuni mesi a Parigi. Qualche anno dopo ritorna in Scozia dove inizia a scrivere L’indagine sulla Natura e le Cause della Ricchezza delle Nazioni, questo il titolo completo dell’opera che lo ha reso famoso nel mondo, pubblicato nel 1776. È di estrema importanza tenere sempre presente il periodo storico in cui è vissuto Adam Smith. La sua formazione filosofica lo ha portato alla conclusione che gli individui prendano spesso decisioni senza alcun aiuto da parte di una forma di autorità più alta. Un’idea tipica dell’Illuminismo, il movimento culturale e filosofico che stava guadagnando consensi, che mirava ad “illuminare” la mente degli uomini, ottenebrata dall’ignoranza e dalla superstizione, servendosi della critica, della ragione e dell’apporto della scienza. Smith era determinato a mostrare che un comportamento orientato ai propri bisogni da parte dei singoli individui poteva portare al bene comune. In uno dei suoi passaggi più famosi sottolinea come l’essere umano abbia spesso occasione di chiedere aiuto ai suoi fratelli, ma difficilmente lo otterrà per la loro benevolenza. Sarà più facile per il singolo ottenere aiuto se riuscirà a stimolare il loro interesse. Questa diventa così una delle sue linee più citate:
“Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del panettiere che ci aspettiamo la nostra cena, ma dal loro riguardo al loro interesse. Non parliamo mai delle nostre necessità ma dei loro vantaggi”.
Adam Smith era decisamente più un sociologo interessato alle dinamiche economiche che un economista puro. La sua intenzione era quella di studiare la crescente prosperità della Gran Bretagna e provare a spiegarne le cause. Nel primo capitolo della Ricchezza delle Nazioni, Smith scrive che il motivo principale dell’incremento della ricchezza è l’aumento della produttività ottenuto tramite quella che lui chiama “la divisione del lavoro”. La sua intuizione caratterizzerà tutta la rivoluzione industriale un secolo più tardi, costituendo la base della produzione di massa, ovvero l’uso di macchine che in qualche modo riescano a suddividere il lavoro in una serie di compiti elementari. L’incentivo all’aumento della produttività è dato dall’interesse personale. Smith osserva come la contrattazione sia insita nella natura umana, ed il miglior modo per ottenere quello che si vuole è quello di dare alle controparti quello che loro vogliono. In questo contesto compare il concetto di “mano invisibile” che viene citato in un passo della Ricchezza delle Nazioni:
“Dirigendo un’industria in modo da massimizzare il valore di ciò che produce, (l’imprenditore) ha in mente solo il proprio tornaconto, ed in questo viene guidato da una mano invisibile per promuovere un fine che non faceva parte della sua intenzione”.
Ovvero, diffondere i benefici dell’aumento della produzione, inducendo ad investire di più, aumentare la produttività, ridurre il costo del lavoro ed aumentare l’occupazione. Per il filosofo scozzese esisteva un prezzo “naturale” per ogni bene. Cita ad esempio l’acqua, bene di prima necessità che ha un prezzo inferiore al diamante, bene assolutamente superfluo. Il prezzo di “mercato” dipende dalla domanda e dalla disponibilità di un dato bene, se cresce la domanda ed il bene in questione è scarso, il prezzo salirà: al contrario se crescerà l’offerta di beni ne aumenterà la disponibilità ed il prezzo tenderà a scendere. È un primo rudimentale approccio a quella che nel tempo diventerà la teoria dell’equilibrio. Ma lo stesso Smith non nasconde i potenziali ostacoli al funzionamento del mercato. La mancanza di informazioni su prezzi e disponibilità dei prodotti, che all’epoca era molto più marcata di oggi, i potenziali monopoli o le tariffe sulle importazioni. Questi impedimenti erano ben noti a Smith, che però decise di non approfondirne gli effetti sul mercato, limitandosi ad affermare che la mano invisibile funzionava solo escludendo volontariamente queste problematiche. Il concetto di Mano Invisibile diventa così una semplificazione, una idealizzazione del mercato che mostra come potrebbe agire in maniera efficace, ma allo stesso tempo ne mette in luce le criticità. Descrivendo come il mercato possa funzionare ma anche le ragioni per cui possa fallire, alcuni autori si spingono ad affermare che Smith nella sua idea originaria, proponga l’opposto del laissez-faire, indicando la via per una visibilissima mano governativa, che corregga e guidi il mercato.
Vi è poi la questione delle sue opere precedenti. Troppo spesso si tende a dimenticare quanto scritto dallo scozzese nella sua Teoria dei Sentimenti Morali che andrebbe considerata complementare o quanto meno contigua alla Ricchezza delle Nazioni. La giustizia, l’umanità e la generosità sono per Adam Smith le qualità più utili per la convivenza sociale, ed il suo liberalismo economico diventa una filosofia che pone però con grande forza la questione dell’etica. Negli ultimi decenni questa parte è stata del tutto, spesso compiacentemente, ignorata dai sostenitori del liberismo più sfrenato, che ha trovato negli economisti della scuola di Chicago la sua massima espressione. Per Adam Smith la giustificazione del liberalismo in economia è data dall’empatia, dalla ricerca della felicità altrui. Identificandoci nella persona che ci sta davanti e comprendendone i sentimenti ne otterremo l’apprezzamento. Per cui se un panificatore persegue il suo interesse e quindi produrràpane per venderlo, non certo per regalarlo, allo stesso tempo cercherà di farlo buono per compiacere il suo cliente e catturarne l’apprezzamento senza il quale non ci sarà alcuna possibilità che torni a comprarlo.
Questo principio viene ampliato in un passaggio fondamentale:
“Nella corsa alla ricchezza, agli onori e all’ascesa sociale, ognuno può correre con tutte le proprie forze per superare i concorrenti. Ma se si facesse strada a gomitate, l’indulgenza degli spettatori avrebbe termine del tutto. La società non può sussistere tra coloro che sono sempre pronti a danneggiarsi e a farsi torto l’un l’altro.”
A chi fa notare come Smith abbia volontariamente riservato un ruolo minimo allo Stato, ridotto alla difesa nazionale, all’amministrazione della giustizia e ad una serie di servizi pubblici, occorre ancora una volta ricordare il contesto storico in cui venivano espresse queste teorie. Una società inglese decisamente meno complessa rispetto al secolo successivo, in cui l’attività industriale era solo agli esordi. L’idea stessa di mercato per come lo intendiamo oggi, o meglio come lo ha in seguito interpretato la teoria neoclassica, ovvero un sistema di prezzi che si coordinano in base alle decisioni prese dagli agenti economici, era solo un embrione. Nella mente di Smith i profitti intesi come guida per i possessori di capitale, e la concorrenza tra questi erano nozioni piuttosto vaghe, non un sistema ben definito. Comparare tout court “mano invisibile” e “mercato” diventa così una forzatura con evidenti connotazioni ideologiche. Smith era certamente contro quella da lui definita come “la tirannia dei mercanti” esattamente come riteneva inadeguato il “sistema agricolo” favorito dai Fisiocratici di Quesnay secondo cui l’agricoltura era alla base di ogni altra attività economica. Ma la sua richiesta di libertà non implicava l’assenza totale dello Stato, bensì riguardava la scelta di allocazione del capitale, che doveva essere lasciato all’iniziativa privata. Come ben esplicitato da John Kenneth Galbraith nella sua Storia dell’Economia:
“Ma, se non riuscì completamente a prevedere la Rivoluzione industriale nella sua piena manifestazione capitalistica, Smith osservò con grande chiarezza le contraddizioni, l’obsolescenza e, soprattutto, l’angusto egoismo sociale del vecchio ordine. Se egli fu profeta del nuovo, ancor di più fu nemico del vecchio.”
La libertà veniva così concepita non come un fine, ma come un mezzo per raggiungere il bene superiore della società. Questo portava Smith a tollerare numerose limitazioni al principio di libertà naturale, attraverso l’imposizione di imposte e tariffe, di leggi e regolamenti di emanazione statale,fino ad arrivare a sostenere la creazione ed il mantenimento di istituzioni volte allo svolgimento di lavori pubblici, che “siano a beneficio di tutti”, ma che non offrano un ritorno di investimento tale da essere implementato dal settore privato. È facile comprendere come la moderna società occidentale sfacciatamente improntata al liberismo, con le sue insostenibili disuguaglianze, con la finanziarizzazione galoppante che l’ha portata a livelli insopportabili di degrado morale, con la globalizzazione e la relativa delocalizzazione alla ricerca del profitto ad ogni costo, si sia completamente allontanata dai principi di armonia e simpatia su cui si fondano le Teorie di Adam Smith. Il modo in cui ne è stato arbitrariamente interpretato il pensiero è ben sintetizzato da una frase dell’economista statunitense Joseph Stiglitz:
“La mano invisibile, ovvero l’idea che il libero mercato conduca all’efficienza come se fosse guidata da forze invisibili – è invisibile perché non esiste …”